La caduta di Serena – capitolo 8

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La caduta di Serena – capitolo 8
Capitolo 8.
Serena rimaneva impalata, fremente, rendendosi conto di essere eccitata allo spasimo e, purtroppo, di esserlo davanti a Paola… non voleva assolutamente concederle di vederla ancora implorare, ma le stimolazioni continue la stavano trascinando oltre ogni sopportazione…
Pur non volendo, pur rifiutando l’idea del bisogno dell’orgasmo, si spostò in avanti di pochissimo, pronta a impalarsi nuovamente…
“No, gran signora, immobile adesso.” Le ordinò Paola, occhi che scintillavano. Ed era ovvio… aveva al guinzaglio la sua preda, nuda, angosciata dal piacere mancato e dal fatto che doveva sottostare ai suoi ordini… Naturale che fosse al settimo, anche se si sentiva a sua volta incendiare tra le cosce… ma per lei, l’attendere era una delizia… presto sarebbe giunto il momento della ricompensa, e si sarebbe sfogata per bene. Intanto si crogiolava guardando la donna davanti a lei, esasperata da quell’ultima imposizione, lo stare immobile…
Serena, con mezza asta dentro, la guardò implorante. La furia era già svanita, cancellata dal bisogno di scorrere avanti e indietro…
“Non… posso…io…” singhiozzava disperata.
“Oh! Le è tornata la voce!” sogghignò Paola “Devi sforzarti, gran signora… sai qual è il problema? Ne hai troppo dentro…” e detto questo, tirò la catena, riportandola ad avere solo mezzo centimetro dentro di lei.
Serena piangeva apertamente ora, pur tirando facendo forza sulle ginocchia per ritrovare l’intera penetrazione.
“Sei… sadica!!” esplose, rinunciando al tirare e ricadendo sui gomiti, faccia a terra. Si sentiva sfinita, pur con l’eccitazione a livelli incredibili.
“Sadica? Per così poco, gran signora? Guarda che so essere molto peggio…” e lo disse mentre staccava il dildo dal muro e lo riattaccava al pavimento, davanti al viso della donna. Usò ancora il guinzaglio per imporle di alzare la testa.
Serena aveva gli occhi stravolti, ancor di più ora che si ritrovava il cazzo finto davanti al suo viso, inequivocabilmente pronto per un altro tipo di servizio…
“Su, gran signora. Marco lo vuole lucido. Cinque minuti di riposo alla tua bella fighettina… non vogliamo che tu goda fuori programma eh, quindi, lavori il tuo amichetto di bocca. E lo voglio lucido fino in fondo. Non vorremmo fare arrabbiare Marco…” E si posizionò ritta, avendo cura che il dildo fosse tra i suoi piedi divaricati. L’effetto era quello voluto… Paola se la godeva un mondo a vederla alzare la testa, così prostrata davanti a lei, così indicibilmente sottomessa…
“Paola… che senso ha farmi tutto questo… non hai un briciolo di…” stava dicendo Serena.
“No, non ce l’ho.” Tagliò corto la donna “e se fossi in te, non mi perderei in chiacchiere. Marco passerà di sicuro a controllare.”
“Non posso… per favore.” Implorò ancora Serena.
“Succhia. Ora.” L’espressione di Paola rasentava la pura cattiveria adesso, e Serena seppe che non c’era spazio per qualche forma di pietà… Un ultimo sguardo al dildo… vi si avvicinò piano… la bocca vicino alla punta… che si aprì.
Cominciò prendendone un pezzetto, un centimetro di quell’oggetto in cui riconobbe anche il gusto dei suoi umori… ad occhi chiusi faceva un lieve su e giù impacciato, dettato da una vergogna che non le lasciava scampo.
Fu la mano nei capelli di Paola a farle capire che non bastava. La afferrò saldamente, e a forza, guidò un su e giù dapprima energico, poi profondo… ogni volta che Serena si chinava sul dildo, Paola la teneva giù un paio di secondi più del necessario… saliva andava così ad aggiungersi a saliva, visto la profondità dell’ingoiare che l’altra imponeva…
“Così, gran signora” diceva la sua aguzzina, continuando a dettare i ritmi del succhiare “dato che con questa bocca ci faranno di tutto, è meglio che ti abitui…” e spingeva, a fondo, la testa di lei.
Per tre volte Serena fece lo s**tto improvviso, semi soffocata, facendo fuoriuscire il cazzo dalla bocca e tossendo saliva, ma sempre Paola la riprendeva al volo e la obbligava a riprendere il pompare… Il risultato era un pavimento reso viscido sia sotto la sua figa, che attorno alla base del dildo…
D’improvviso, entrò Marco. Serena poteva solo intuire che fosse lui, la posizione prona non le permetteva di vedere oltre le sue scarpe…
“Allora, come lavora la persona?” chiese a Paola.
“Direi chela stiamo ridimensionando un pochino… forse, se glielo chiedi, non sarà più così piena di sé da definirsi persona…” disse sorridendo la donna, alzando di colpo la testa di Serena, per farle guardare direttamente Marco, che si chinò accanto a lei.
“Cosa sei?” le chiese Marco, fissandola negli occhi.
Serena si rendeva conto di essere stata spogliata di ogni dignità… era inutile mostrare una qualsiasi forma di orgoglio… assecondare. Ubbidire. Totalmente.
Questo voleva. Questo otteneva. Sempre.
“Una putt… puttana…” disse piano.
“La mia puttana.” Precisò Marco.
“La… la tua puttana…” singhiozzò Serena.
“Eppure mi avevi detto di essere una persona… ma sbagliavi, vero puttana?” rincarava lui, passandole un dito lungo il viso.
“Io… sì… sbagliavo… adesso… posso riposare… per favore…” chiese disperata Serena.
Marco si rialzò. Prese le polsiere dalla scrivania e fece un cenno a Paola, che fece inginocchiare Serena, tirandola per i capelli. Marco non trovò opposizione da parte della sua preda, quando le congiunse dietro la schiena e le legò assieme.
“Torno di là” disse Marco rivolto a Paola “continua come ti ho detto.” E fece per andarsene.
“Io… ti prego Marco… ho detto quello che volevi, ti scongiuro!” diceva Serena, inginocchiata, cercando compassione.
Lui sorrise.
“Dire è un conto… quello che pretendo è molto, molto di più. Paola, la voglio in calore.” E se ne andò, chiudendo la porta.
Serena si afflosciò sulle ginocchia, a capo chino. Implorare, scusarsi… nulla, non serviva a nulla. Ed ora sentiva di nuovo la mano di Paola tra i capelli… la strattonava, lasciando per un attimo il guinzaglio che ciondolava tra i suoi seni… lei era costretta a muoversi sulle ginocchia, e la destinazione la conosceva… ecco… Paola la posizionava a due centimetri dal fallo di gomma… con un piccolo tocco del piede sulle cosce le imponeva di divaricare le ginocchia…
E poi si piazzava, guinzaglio in mano, a due passi di distanza… a contemplare…
“Difficile talvolta dover attendere…” pensava Paola, guardando Serena, deliziosamente nelle sue mani… Nuda e splendida. Legata, inginocchiata e quindi meravigliosa. Al guinzaglio e pronta all’uso… divino…
La lingua passò sulle labbra, golosa, prima di parlare.
“Ricominciamo la pulizia, gran signora. Ora ti abbasserai, e scoperai per bene il tuo amichetto. Quando dico di fermarti, lo farai uscire. Senza se, e senza ma. Il godere non è una scelta tua. Chiaro?”
Serena la guardava sconcertata. Giocavano a farla impazzire, tra le tante cose… sessualmente, era stravolta, un gioco perverso del genere, l’avrebbe fatta precipitare nel baratro. E gli occhi di Paola… passavano famelici sul suo corpo… cosa voleva ancora da lei…
Temeva la risposta…. Perché inconsciamente, la conosceva…
Paola era in attesa. E lei era senza possibilità di scelta.
“Sì…” bisbigliò.
“Comincia, gran signora. Giù, subito.” Ordinò Paola.
Serena non potè far altro che obbedire… scese lentamente… nonostante le mani legate, fu un attimo farlo entrare, mentre l’espressione del viso diveniva tirata… era oltremodo bagnata, spinta troppo verso il limite… Scese fino ad averne metà nella figa… si fermò un secondo, occhi chiusi frementi, cercando di contenere gemiti che si accumulavano in gola…
“Tutto, gran signora. Voglio vedere sparire il tuo amichetto, eh.” Disse Paola, dando un leggero strappo alla catena, per sottolineare l’ordine.
Serena ansimava, mentre proseguiva la discesa… lenta… lentissima… ogni millimetro era un’agonia di piacere. Ma l’ordine era chiaro… e le rimbombava nella mente… non godere… non godere…
“Ah…ahhh…” le uscì dalle labbra, quando l’ebbe preso tutto. Tremava. E gocciolava. Lo sentiva lungo l’interno coscia, sentiva il lago che si formava dentro lei… Controllarsi… muoversi lentamente…
Paola sorrideva . Vederla nel disperato tentativo di contenere le emozioni… di controllare con la mente ciò che il corpo chiamava a gran voce, beh, dava quel tocco in più… per meglio dire, un’altra difesa di lei da mandare in frantumi…
Lasciò andare il guinzaglio, che ricadde tra le tette di Serena, e appoggiò le mani delicatamente sulle spalle della preda… Il piacere di vederla ritrarsi leggermente… le dava fastidio essere toccata da un’altra donna, ma la predatrice era ben sveglia dentro Paola… fece scivolare lentamente le mani verso i capezzoli… lievissima… per poi prenderli tra pollice e indice…
“N-n-non… toc… armi… t-ti p-prego…” mormorava Serena. Uomo o donna, il suo corpo era una corda di violino pronta a saltare… se si fosse concessa il lusso di godere, se gliel’avessero permesso, cosa sarebbe accaduto? Marco era stato intransigente in modo assoluto su quel punto… ma Paola voleva a tutti i costi renderle un inferno ogni secondo…
“Non penserai di riposare, gran signora… qui si fa allenamento…” disse la predatrice, iniziando a tirare i capezzoli verso l’alto, obbligando Serena a seguire il movimento… lentissimo… un millimetro alla volta… la faceva impazzire, rompeva quel flebile auto controllo… resistere… rifiutare il godere…
Ma come poteva farcela… Paola adesso alternava delicatamente il suo comandare tramite i capezzoli… su… giù… su… giù… e lei soccombeva…
“Io… miodio… miodio… sto…” era vicina… disperatamente vicina…
E il tocco sui capezzoli divenne assurdamente doloroso, e la obbligava ad alzarsi sulle ginocchia quel tanto che bastava a fare uscire il dildo dalla figa.
“NOOOOO!!!! Basta torturarmi!!!!” urlò Serena. Ma non per il dolore. Tentava adesso di rimettersi a cavalcioni del fallo, sembrava realmente impazzita. Con rapidità Paola riprese il guinzaglio, cortissimo nelle sue mani…
“No…” diceva mentre l’altra si contorceva… “No no no” ripeteva, con il tono di chi sgrida una bimba capricciosa… “Non mi dire che ho rovinato qualcosa…”
“Stro… stronza maledetta… man… mancava… poco… poco…” le sputava in faccia Serena, gli occhi infuocati.
“Davvero, gran signora?? Scusami… non me ne ero accorta… ma conosco io un metodo per portarti un passo indietro, prima di ricominciare…” e tenendola stretta per la catena, diede un ceffone sul seno sinistro della sua preda.
“Ahiaaaaa!!!” urlò Serena, presa totalmente di sorpresa.
Immediatamente, fu raggiunta dal secondo, sempre sullo stesso punto.
“SMETTILA!!! Ti prego bastahhhhhh!!!” urlò ancora al terzo. Ora ansimava, arrendevole, sempre inginocchiata e chinandosi leggermente in avanti, quanto il guinzaglio le permetteva.
“Bene, gran signora… possiamo riprendere ora.” Disse Paola, riposizionandola sul cazzo finto.
“T-tu mi v-vuoi tor… tormentare…” disse tra gli ansiti Serena, preparandosi alla nuova impalata…
“Dai, su… magari è l’ultima volta…”la scherniva l’altra, quasi con tono dolce…
“AHHHHDDDIOOOOOO!!!” gemette Serena, quando Paola la rispinse giù, fino in fondo.
“Su gran signora… è quasi finita…” disse ancora la sua aguzzina, e Serena la guardò stravolta.
Dopo mezz’ora, gli orgasmi mancati erano sette.
Quando Marco aprì la porta, fu colpito per prima cosa dai profumi… di bagnato, di figa… netti, nell’aria…
Poi si concentrò sulle due donne.
Paola lo guardava, trionfante. Teneva il guinzaglio, mentre ai suoi piedi, Serena era chiaramente stata interrotta mentre leccava il dildo. Il viso era stravolto, il respiro accelerato. Era visibilmente sudata… nell’insieme, Serena era nella condizione che lui aveva chiesto…
In calore.
Marco si avvicinò, e prese in consegna la catena da Paola “Molto bene. Sono soddisfatto.” Disse.
“Grazie signore. Passo di là?” chiese la donna, contenta.
“Sì, dieci minuti e arriviamo. Intanto ho sistemato il video dove la puttana implora per essere scopata, l’ho inviato anche sul tuo cellulare, casomai avesse qualche problema con la disciplina, in futuro…”
“Benissimo signore. Vado.” Disse, passando nel negozio.
Appena fu uscita, Marco si chinò davanti a Serena, la prese per i capelli, facendola inginocchiare.
“Mi sembri sfinita, puttana… o ti devo chiamare persona…” chiese sorridendo.
Serena era ben oltre la vergogna ormai. Che l’insultasse come voleva, che la degradasse pure… al momento desiderava solo una cosa… poi avrebbe avuto il tempo di pentirsene, ma adesso il suo corpo prima, e la mente poi, focalizzavano solo un bisogno…
“Sono… quello che vuoi… posso…” chiedeva a occhi chiusi.
“Sì? Puoi cosa, puttana?” la istigava Marco.
“… bagno… andare in bagno… sola…” e strinse le palpebre chiedendolo… sapeva di umiliarsi, ma aveva necessità, doveva toccarsi, assolutamente…
Il sorriso di Marco si allargò. “In bagno sola… e come mai, puttana?”
Serena si morse il labbro. “Ho bisogno di fare pipì… e…”
“Uhm… no no, se non sento la verità , non posso concederti così tanto, puttana…” disse lui, passandole il dito lungo il collo.
Serena adesso lo guardava, disperata. “Per favore… ho solo bisogno… io…” tergiversava, ma quando quelle dita scesero lungo il seno, a prenderle il capezzolo, rinunciò ai giri di parole…
“Ho bis-bisogno… di toc-carmi…” e lo disse con occhi lucidi. La resa era stata data.
“Toccarti? Non mi sembra si dica così… riprova…” continuava incalzandola lui, ora avvicinando la bocca a quelle tettone così ben esposte…
“Cazzo, ho…” un sospiro, mentre lui passava la lingua sul seno… “ho… bi-bisogno di… mast-masturbarmi!”
Marco sospese il suo leccare.
“No.” Disse semplicemente.
“Perché… dio perché??? Ho fatto di tutto, di tutto!!!!” piangeva lei, senza curarsi che il suo disperarsi davanti a lui era per chiedere l’umiliazione totale… era giunta a chiedere il permesso di masturbarsi…
“E’ già previsto come e quando godrai oggi… non sei libera di scegliere, puttana. Ma se hai tanta voglia di cazzo…” e lasciò la frase in sospeso, mentre la liberava dalle polsiere. Serena, ricadde a quattro zampe, mentre Marco prendeva una sedia e si accomodava davanti a lei.
Serena alzò il capo, e vide come lui teneva le gambe divaricate, le braccia incrociate sul petto.
“Su, puttana. Tiramelo fuori.” Ordinò Marco, con assoluta calma.
Lei scosse il capo, in un “no” che sapeva di avvilimento… eppure si mosse, facendo strisciare il guinzaglio sul pavimento. Le mani le tremavano, mentre slacciava il bottone dei pantaloni… poi fu la volta della zip…
Ed ora esitava… il fiato corto. Un’agitazione la scombussolava… non voleva servirlo, ne detestava l’idea, e quello concorreva a renderla così elettrica. Ma c’era poi l’altra parte… l’avevano portata così al limite che solo l’idea di cazzo la rendeva disposta a tutto…
Alzò gli occhi… l’espressione di Marco era di chi non avrebbe atteso oltre. Lentamente, scostò il bordo delle mutande… E lo prese in mano, per farlo uscire. Lo mollò subito, appena l’ebbe estratto.
“Passami il guinzaglio, puttana.” Ordinò Marco, e lei eseguì, con angoscia crescente. Non c’era tregua, mai.
Marco prese il capo che le tendeva la donna, e immediatamente ridusse la catena a venti centimetri, tirando il viso di lei tra le sue gambe, il viso a pochissima distanza dal suo cazzo duro.
“Perfetto puttana. Guardalo, guardalo per bene. E nel mentre, masturbati i capezzoli. Solo quelli.” Le disse, soddisfatto della reazione di delusione che le lesse in volto… Ciò nonostante, Serena portò le mani ai suoi chiodini, duri all’inverosimili e, considerava lui vedendola sospirare , sensibili come non mai…
“Accarezzali per bene, puttana” le diceva guardando quelle labbra a breve distanza dal suo cazzo “proprio come te li lavoro io…”
E lei eseguiva, ogni carezza, una fitta di piacere. Erano da sempre stati un punto particolarmente sensibile del suo corpo, ma ora Serena capiva quanto potevano diventare tortura… li rigirava tra le dita, accarezzando, stringendo piano… lasciandosi rubare la mente… non importava a chi apparteneva il membro che aveva davanti alla faccia, la sua figa non aveva occhi… solo bisogno… troppo…
“Dunque puttana, mentre ti diverti” disse sarcastico lui “ti spiego alcune cose, che serviranno a partire da questo momento e sempre. Primo, il tuo cellulare lo gestiamo noi…”
Serena ebbe un sussulto. Il cellulare! Dov’era adesso?? Erano ore che per forza di cose non lo guardava…
“Ma… i-io…” voleva chiedere, ma senza interrompere l’accarezzarsi, non riusciva a formulare la frase completa.
“Non interrompere, puttana. Noi decidiamo a chi rispondi, chi chiami e tutto il resto. Abbiamo già provveduto a spulciare bene bene anche quello… trovando interessanti spunti…” disse con un ghigno.
Serena non riusciva ad immaginare cosa potessero aver trovato… lo teneva abbastanza pulito, il marito non controllava mai, ma non si poteva mai sapere… a cosa alludeva quel bastardo?
“Seconda cosa. Il mercoledì è il tuo giorno libero. Smetti pure di prendere impegni. Lo passerai sempre con me.”
Lei recepiva, come frustate quelle parole. Il problema era l’eccitazione… recepiva, annuiva sottomessa, senza realmente rendersi conto di quanto la sua vita stava finendo interamente nelle mani di Marco… E intanto gocciolava… i capezzoli bruciavano sotto le dita… e un cazzo era lì… a pochi centimetri…
“Terzo punto. Al mattino verremo a prenderti noi a casa, per venire a lavorare, e verrai sempre riaccompagnata da noi. Chiaro?” Chiese lui secco, iniziano a passarsi la mano sul cazzo, un gesto che fece provocò una velocissima leccatina sulle labbra da parte di Serena… che riscuotendosi, disse un semplice “s-sì…”
“Quarto punto. Non che mi preoccupi, visto che il cornuto non sa apprezzare una puttana come te, ma non dovrai mai più essere penetrata da tuo marito. E credimi che non sarai mai fuori dal mio controllo, riguardo a questo…”
“M-ma… “ iniziò a dire Serena “m-mi… mi s-stai chiedendo… Mar… Marco… io…” farfugliò, rossa in viso, occhi fissi sul menare di lui.
“Non devi preoccuparti. La useremo così tanto che neanche ti passerà per la testa di farlo con lui. Io decido chi può ficcartelo dentro.” E detto questo, diede uno strappo al collare, tirandola ancor di più verso il suo cazzo. Guinzaglio in una mano, con l’altra la prese per i capelli e si posizionò la bocca di lei sul membro.
Sorpresa da quella foga, Serena puntò le mani sulle gambe di lui, per cercare quantomeno di limitare quello che non era un pompino, ma uno scoparle la bocca. Difatti Marco ad ogni affondo le spingeva la testa a fondo, impedendole di deglutire… la saliva colava, mentre lui aumentava la velocità, incurante dei gemiti soffocati di lei…
Un minuto dopo, le portò il capo all’indietro e, mentre lei tossiva, le venne sul seno. Stremata, Serena ricadde nuovamente a quattro zampe. Istintivamente, si guardava attorno per cercare qualcosa con cui pulirsi…
“Spalmatelo bene su quelle tettone, puttana. Devi sapere di me. Sempre.” Sentenziò Marco.
Ai suoi piedi, Serena non potè far altro che eseguire. Serrando le palpebre, si passò una mano sul seno, fino a che non ebbe spalmato tutto il seme dell’uomo su di sé…Nel mentre, si rendeva conto di cosa gli aveva annunciato per il futuro… Le stava rubando nuovi pezzi di vita, un altro giro di vite, un’altra stretta alla gabbia… Lo odiava… lo odiava con tutta sé stessa… specialmente per quello che sentiva dentro… la voglia di scoparsi persino lui, pur di mettere fine a quell’eccitazione che non voleva lasciarla…
Sentì le mani di lui sganciarle il collare.
“Alzati puttana, e rimettiti gonna e camicetta. Avrai fame immagino, dopo questa lunga giornata….” Le chiese, sorprendendola. Sembrava quasi dolce nel tono di voce.
“S-sì, Marco… non mangio da stamattina…” ammise lei.
“Bene. Vestiti, puttana.” Ordinò lui.
Serena non capiva… Non capiva quella piccola attenzione inaspettata… Fece quanto le era stato detto… la camicetta, prima, senza osare andare oltre il secondo bottone, poi la gonna… mentre considerava quanto si sentisse gonfia e pulsante tra le cosce. Aveva bisogno di venire, aveva bisogno di una doccia, aveva bisogno di stendersi e riposare…
Non osava però aprire bocca e chiedere…
Quando fu pronta, i due uscirono dalla stanzetta. Qualche cliente, ovvi sguardi verso di lei. Ovvio sorriso di Paola, da dietro il bancone.
Marco si avvicinò, seguito da Serena.
“Mamma mia Sere, che profumino di buono sento…” disse lei, facendola arrossire violentemente.
“Si può sempre fare meglio.” Disse Marco, tranquillo. “Hai preparato il computer?” proseguì, riferendosi al piccolo portatile che aveva immortalato Serena qualche ora prima.
“Certo” rispose Paola “non rimane traccia di nulla. Il video integrale l’ho messo al sicuro per noi… Poi l’ho predisposto per la connessione… insomma, è pronto.”
Serena ascoltava, senza parole. Stavano allestendo il reale collare che la teneva sottomessa… raccoglievano e catalogavano per bene tutto quello che serviva per tenerla in pugno.
“E il cellulare della puttana?” chiese ancora lui.
“Sistemato. Hai i due programmini che avevi chiesto… uno la segue passo passo, e possiamo sapere sempre dove si trova, l’altro monitora il suo traffico telefonico, chiamate sms e, ovviamente, il programmino speciale per il gioco… contenta Serena? Possiamo sapere sempre dove sei e con chi parli… non che resterai spesso da sola, comunque.” Concluse la donna, guardandola.
Serena non capiva più nulla. Non potevano essere arrivati a tanto! E cos’era il gioco??
“Ma… cosa state dicendo?? Voi pretendete di avermi a disposizione sempre??” riuscì a non urlare, visto la clientela presente, ma era esterrefatta. Stavano dimostrando un’assoluta determinazione nel volerla come schiava, sempre e ovunque!
Marco fece un sorriso disarmante.
“In effetti, puttana, è così. Tu mi appartieni. Ma ovviamente, puoi andare fin da subito. Chiaro che appena rifiuti, tuo marito riceverà tutto il materiale, del tuo amichetto di chat, degli altri amici con cui giocavi virtualmente, i commenti che facevi di tuo marito… poi il video dove implori di essere scopata da me… E se non sbaglio, Paola è pronta a riferire di quanti altri ti sei fatta qui…”
“Ma… ma non è vero!!” esclamò Serena, disperata.
“Beh… credo che poco importeranno le tue parole, dopo quello che il maritino si troverà davanti… ma forse, sarà comprensivo… “
Serena si prese il volto tra le mani… poi li guardò… “quello che mi chiedete è pazzesco…”
Marco la fissò, duro.
“Chiedere? Io non chiedo, ottengo. Questo è quanto. Hai finito adesso, puttana, o vuoi ancora farmi perdere tempo?”
Gli occhi di Serena vedevano i panorami futuri… controllata, in modo assoluto, usata a piacimento. Vedeva insomma un inferno, fatta di una ragnatela dov’era stata invischiata… il ragno era Marco, che giocava con lei, con le sue voglie… con la sua vita… Quello che non riusciva a vedere, era una via d’uscita.
“Va bene…” sussurrò…
“Bene, perché è ora che tu mangi, mia cara puttana. Non sei contenta?” chiese lui.
Assecondare. Ubbidire. “S-sì, certo Marco…”
“Però, prima di andare, ti manca ancora qualcosa… Paola, preparala.” Stabilì Marco.
“Certo, vieni qui, gran signora, dietro al bancone, in piedi.” Le disse sorridendo.
Serena eseguì, piena di angoscia. Era semi nascosta ai clienti, ma non aveva la minima idea di quello che la donna voleva ancora farle…
“No…” bisbigliò, quando sentì la mano di Paola risalirle da dietro, lungo le cosce… Cercò anche di serrarle, quando la sua aguzzina iniziò a forzarle il taglio per far entrare qualcosa…
“Ma ch-che fai… no… nooo!!!” gemeva Serena, mentre Paola spingeva, non vista un oggetto dentro di lei…
“Ferma… ferma che ti fa solo bene, gran signora… ecco, entrato!” disse trionfante. In effetti, il piccolo cilindretto di plastica era penetrato in lei facilmente, visto il lago che si portava dentro…
“Che… che cosa… diomio… ma che avete fatto?!?!” chiese sconcertata.
“E’ un gioco molto simpatico… e… un modo di renderti più veloce nell’ubbidire, puttana.” Le disse Marco, che nel contempo, prese un piccolo telecomando dal bancone, spingendo un tasto.
“ohhh!!!” esclamò Serena, piegandosi leggermente sul bancone. L’oggetto che aveva dentro aveva preso a vibrare. Marco sfiorò ancora il telecomando, e la vibrazione cessò.
“Ora sei pronta puttana. Prendi con te il cellulare e il portafoglio, ti serviranno.” Disse, e Paola prontamente tese gli oggetti a Serena, che aveva un’espressione incredula.
“Seguimi.” Ordinò ancora Marco, con il consueto gesto di battere la mano sulla gamba.
E Serena cominciò a comprendere che il pasto avrebbe rappresentato una nuova agonia… ai primi due passi, un lieve gemito le sfuggì dalle labbra… il cilindretto che portava nella figa, anche se spento, stimolava comunque il suo piacere, già portato ad alti livelli…
Ogni passo diveniva così una prova… doveva concentrarsi per non ansimare, e senz’altro Marco lo sapeva bene, visto che teneva un’andatura veloce, uscendo dal negozio. Lo raggiunse con fatica, rendendosi conto che per quante volte affrontasse la gente della galleria, non si abituava mai a quell’imbarazzo generato dal suo essere così esposta… e nemmeno le persone attorno rimanevano indifferenti…
C’era poco da fare… una scollatura del genere, su un seno come il suo, calamitava gli sguardi. L’aspetto stravolto poi non faceva che accentuare quell’aria da donna da sbattere… senza contare l’odore che si sentiva addosso… di lui, del suo sperma… E la vergogna saliva in forma di rossore sul suo viso. Anche per la paura adesso di incrociare persone che avevano potuto in qualche modo giocare con lei… Gianni, Sonia, i quattro ragazzini…
Sì, Marco tesseva una rete… dove lei si ritrovava sempre più circondata da persone che l’avevano vista in situazioni più o meno oscene e umilianti… non osava pensare ai giorni a venire… la costante tensione a cui sarebbe stata sottoposta anche solo per passeggiare lungo il centro commerciale…
Lo stimolo continuo. Lo sentiva, tra le cose. Fortunatamente, Marco si era già fermato, davanti ad uno dei bar del centro, quello più vicino al negozio, un ambiente piuttosto grande, con tavolini, ma anche cinque panche da sei persone a spalliera alta, addossati al muro, che riempivano il muro davanti al bancone. Un locale dove spesso anche lei consumava qualche caffè. Certo… era una fortuna fossero già arrivati, per quello che segretamente portava nella figa… non per come era vestita e per il fatto che conosceva il gestore del bar, Enrico, e la sua compagna, Sandra che spesso gli dava una mano come banconiera…
Che avrebbero pensato a vederla così… ovvio, quello che pensavano tutti… che era in cerca di cazzo…
La vergogna. Marco l’aveva resa sua stretta compagna di vita in poche ore…
Lui ancora non entrava. Si voltò invece a guardarla.
“Entra, e vai a sederti nell’ultima panca in fondo, rivolta verso la galleria. Ordina un toast e un qualcosa da bere. Tieni il cellulare a portata di mano. Io ti raggiungerò tra poco, puttana.” Disse, e la lasciò lì senza dare altre spiegazioni.
Non le rimase che procedere… il posto era poco affollato, nonostante ciò, occhi ammirati la osservarono mentre sfilava per raggiungere il tavolo. Si sedette, lieta di essersi tolta dal centro dell’attenzione.
Non trovava però pace. Il corpo estraneo che si portava dentro si faceva sentire ad ogni movimento… non con scariche di piacere assoluto, ma indubbiamente la manteneva calda… e soprattutto, ad agitarla, c’era il pensiero dei progetti di Marco… dove fosse ora, cosa pretendeva di nuovo da lei… e le nuove regole che aveva stabilito per la sua vita futura.
Cellulare sotto controllo. Il fatto che sarebbero passati loro a prenderla al mattino. Giorno libero totalmente nelle mani dei due bastardi. E… niente più penetrazioni da parte di suo marito… non che accadesse spesso… ma… Volevano lei. Dentro e fuori. Totalmente.
“Serena, buon pomeriggio!” disse Enrico, richiamandola dai suoi pensieri.
“Salve Enrico… ho… un po di appetito…” disse con un sorriso imbarazzato e tenendo le braccia incrociate sul petto per cercare di nasconder almeno in parte le sue forme.
“Spara pure, quello che vuoi.” Si mise a disposizione lui, gentile come sempre. Si era sempre dimostrato un bravo ragazzo, da quando lo conosceva, come del resto Sandra, la sua ragazza, anche se lei tendeva ad essere più acida.
“Un toast, e un succo di frutta all’ananas, per cortesia.” Ordinò, e lo vide scrivere veloce, e andare a passare la consegna a Sandra.
In quel mentre entrò Marco, che si posizionò ad un tavolino all’inizio del locale, in contatto visivo con lei, a quattro cinque metri di distanza. Serena non si spiegava perché la lasciasse sola. Lo vide solo armeggiare con il telefono.
E sul suo, arrivò un whatsapp… “Rialzati, e siediti a diretto contatto con la panca. Niente gonna tra la tua figa e il legno.”
Bastardo. La voleva controllare pur facendola stare sola. Un ordine che non sarebbe nemmeno stato difficile, se non fosse stato per quel colare che sentiva… questo la portò ad esitare…
“uhh!” le sfuggì dalla bocca il gemito. Il cilindro vibrava… e l’effetto si faceva sentire fin da subito… era troppo carica per tentare di simulare indifferenza… doveva ubbidire, ovviamente, e subito… e sperare che…
Veloce, appena fu sicura che nessuno guardava, si alzò quel tanto che bastava per togliersi la gonna da sotto il sedere… E persino l’effetto della pelle nuda sul legno lucido le rimandò una scossa di piacere…
La vibrazione si placò, lasciandola comunque provata. Guardò Marco, tra l’implorante e il rabbioso… Lui, espressione che pareva quasi annoiata, la fissava di rimando. Fu l’arrivo di Enrico con il succo a distrarla.
“Ecco qui Serena, fresco fresco. Tutto bene in negozio?” chiese discorsivo, da buon gestore.
“Grazie, sì e-ehhh…” fece decisa un piccolo s**tto in avanti, sentendo la vibrazione riprendere. Le mani si attaccarono al tavolo, rivelando ad Enrico lo spettacolo della sua scollatura. Serena, intanto, era nel panico, dovuto al piacere montante.
“Serena, tutto a posto?” chiedeva Enrico, non perfettamente in grado di evitare sguardi sulle tette di lei.
“s-sì… io… s-solo… un… un po di… s-stan-chezza…” disse, e tornò a guardare Marco, che seduto a gambe accavallate si godeva lo spettacolo.
“Capita, quando si lavora tanto.” Disse Enrico, sorridendo, e, fortunatamente per lei, allontanandosi.
E la vibrazione, che la faceva gocciolare direttamente sulla panca, si fermò. Purtroppo, chi continuava a vibrare era lei. Quel nuovo gioco iniziato da Marco, la lasciava senza fiato. Il bastardo adesso poteva decidere di spingerla al massimo e di farla godere anche lì, senza alcun preavviso. E se realmente lui avesse deciso così? Se veramente l’avesse fatta godere davanti a tutti… con la voglia che si sentiva, non osava pensare a quale figura avrebbe potuto fare…
Il segnale di un nuovo whatsapp. Marco, ovviamente.
“Ti devi far dare il numero di telefono di Enrico. E deve capire bene perché lo vuoi. Fai vedere bene quanto sai essere puttana.”
L’orrore di dipinse sul viso di lei. Era impossibile chiederle anche questo! Era un bel ragazzo, per carità, ma non poteva fare quei giochetti lì, a pochi metri da dove lavorava! E in più, con la compagna di lui presente!
“Non posso! Non posso fare una cosa del genere!!” scrisse di getto come risposta.
Non passarono nemmeno dieci secondi, e il cilindretto si attivò. Serena strinse istintivamente le cosce, sentendo la vibrazione che cambiava di velocità… da blanda, cresceva velocemente di intensità, per divenire poi un pulsare che la squassava…
Il problema era che non riusciva più a stare ferma… il corpo ondeggiava avanti e indietro… e quel piccolo vibratore insisteva, insisteva…
“Oddio… oddio…” mormorava piano, cercando di non farsi sentire da nessuno… ma mancava poco… se Marco non spegneva quel dannato affare, l’avrebbero sentita eccome…
Sapeva l’unico modo per fermarlo… sapeva dipendeva da lei… il piacere la stava sovrastando…
La mano corse al cellulare, le sfuggì una prima volta, poi lo riagguantò e veloce scrisse “ok”, senza nient’altro, non riusciva ad articolare i movimenti. Inviò.
E la vibrazione cessò ancora, lasciandola ansante, la mano sugli occhi, nel tentativo di ritrovare un minimo di calma. Che non giungeva… Era seduta ormai sui suoi stessi umori, colava, e l’imbarazzo era accresciuto dal fatto che dentro di lei si andava convincendo che tutti potevano intuire cosa stava passando anche solo guardandola in faccia… Come si poteva non notare quanta voglia avesse in questo momento?
E ancora Marco scriveva.
“Per la tua esitazione, dovrai anche fargli capire PERFETTAMENTE che non porti reggiseno.”
Ancora la mano sugli occhi, dopo aver letto… e ancora sotto l’umiliazione dell’esporsi, come pure tornava alla mente il numero di scelte possibili… zero…
E Sandra stava passando il toast ad Enrico, che adesso veniva nella sua direzione.
“Ecco qua Serena, buon appetito.” Disse sorridendo.
“Ehm… Enrico…” bisbigliò lei, rossa in viso.
“Sì, dimmi pure” si soffermò lui, poggiando le mani al tavolo, in attesa. Poteva essere cortese e sapeva stare al suo posto, ma era un fatto che l’occhio inevitabilmente cadesse sulle forme di lei…
“Io…” ricominciò Serena, lanciando un’occhiata a Marco, che la stava fissando fermo come una statua di marmo “… io … mi chiedevo… sì insomma, se tu potessi… vorrei il tuo numero di telefono…”
Ecco. L’aveva chiesto. Abbassò gli occhi subito dopo, sprofondando nella vergogna. Però anche lui sembrava veramente imbarazzato, e abbassò la voce a sua volta.
“Ehm… Serena… non so se sia il caso, sai, Sandra è piuttosto gelosa di queste cose… ma… per cosa ti servirebbe?” chiese lui, che in altre occasioni non avrebbe nemmeno pensato a doppi fini da parte di lei, ma vedendola vestita così, il dubbio si mescolava a segreta speranza.
Serena aveva un groppo in gola… di parole non ne venivano più… ma sapeva anche che di esitare non se ne parlava…
Il corpo di Enrico la celava agli occhi della sua compagna, così iniziò posando un dito sul bordo esterno della camicetta… lo fece scorrere fino al profilo del seno… e alzò il tessuto…
Enrico rimase folgorato dalla visione di quella tetta stupenda… sormontata da un capezzolo eretto, da passarci la lingua per ore… Inghiottì, dimentico di dove si trovava. E stupido lui, che aveva sempre visto quella donna come una santarellina…
Un colpo di tosse alle spalle di Enrico, che ebbe l’effetto di congelare l’uomo e di far saltare il cuore in gola a Serena. L’unico che segretamente si divertiva era Marco, che da principio aveva visto la sua puttana obbedire in tutto e per tutto a quello che le era stato richiesto, e che ora si gustava la scena di Sandra che, pur non avendo visto la scenetta, non apprezzava affatto quella complicità tra i due…
Bene, pensava lui, ogni tassello andava al suo posto… per il resto, occorreva solo un po di tempo…
Vedeva intanto Sandra con una scusa riportare il compagno al bancone e dargli un’occhiata pesantissima… mentre la sua puttana, costernata e avvilita piluccava il toast, guardando unicamente il tavolo. Più che bene… ottimo. Più avanti, con Sandra avrebbe parlato lui…
Ma adesso era tempo di chiudere la faccenda… mancava il numero di telefono… ma, a quanto pareva, mentre Serena pagava il toast al tavolo in quel momento, Enrico passava un foglietto…
Difatti, Marco non sbagliava… Serena aveva teso i soldi ad Enrico, che prendendoli, le aveva fatto ricadere nella mano il numero, fregandosene a quanto pareva della possibile furia della compagna, se l’avesse beccato… E Serena non sapeva se essere contenta per aver raggiunto l’obbiettivo, o essere disperatamente a terra… del resto, ora un altro uomo era appena stato convinto da lei stessa del fatto che fosse una puttana in piena regola…
Non ebbe il tempo per pensarci… un nuovo messaggio di Marco.
“Alzati ed esci, puttana.”
Lei non perse tempo, e si alzò veloce, lasciando sul tavolo toast e succo consumati a metà. Veloce… troppo.
Sentiva il cilindro, la stimolazione… ogni movimento la rendeva liquida… Camminò piano quindi per raggiungere l’uscita, passando davanti al banco con un saluto rapido, a cui Enrico rispose languido, ma Sandra… aveva occhi di fiamme…
Serena abbassò la testa, e raggiunse Marco, già nella galleria.
“Fammi… Mar-co… Fammi to-gliere questooonhh!” un urletto… il bastardo aveva acceso e spento velocemente… un’altra dimostrazione del giogo che aveva messo su di lei.
“Puttana, per il momento il cilindro resta dov’è. Piuttosto… a che ora torna a casa quel cornuto di tuo marito?” chiese duro.
Serena sentiva una fitta a sentire quelle parole… il sentire offendere la persona che aveva sposato… ed era stata lei a permettere tutto questo… lei e solo lei…
“Alle sette…” sussurrò piano.
Marco sorrise “Ottimo. Allora è il momento di avviarsi a casa tua. Voglio studiarmela, prima della cena, e prima che arrivi quell’imbecille che hai sposato.”
Lo sguardo di Serena si fece carico di rabbia per un attimo. Lui estrasse il piccolo telecomando dalla tasca, in modo plateale, così che lei lo vedesse bene… e disse ancora “Quell’imbecille che hai sposato. Problemi, puttana?”
Sconfitta, lei abbassò lo sguardo.
“Immaginavo, puttana. Ora andiamo, abbiamo tanto da fare…” e si incamminò, con lei che lo seguiva, torturata passo dopo passo dal vibratore che urlava la sua presenza tra le cosce…
Non finiva… quell’inferno non finiva… anzi, si spostava direttamente nella sua casa.
Davanti a suo marito.

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