Asia, giochi viziosi seconda parte

Asia, giochi viziosi seconda parte
Il signore era tornato definitivamente in Italia, forse a Gallipoli, pur tuttavia nei giorni successivi alla sua partenza, nell’andare a casa dal lavoro, passavo davanti a quella casa. Mi era venuto la sindrome dell’assassino che torna sul luogo del delitto. Ma c’era poi stato un delitto o una scoperta?
L’estate stava finendo ma faceva ancora caldo, il pezzo di terra che stava di fianco alla casa cominciava a far sentire la mancanza di qualcuno che se ne prendesse cura.
Quel pomeriggio avanzato di un venerdì il giro non andò a vuoto. Un’auto era ferma nell’area di parcheggio, la porta d’ingresso alla casa era spalancata e si sentiva anche della musica. Stoppai la bici per controllare meglio la situazione e raccogliere le idee su cosa fare prima di avvicinarmi. Non vedevo ancora nessuno ma qualcuno sicuramente c’era.
Sapevo che prima o poi sarebbe successo, la casa era stata venduta, un nuovo proprietario l’avrebbe occupata.

Feci una mezza curva della strada e lo vidi, torso nudo, short e il getto d’acqua. Non mi sembrò uno qualsiasi ma qualcuno e avvicinandomi di più mi fu chiaro.
– Salve!
– Buona sera.
– Lei è Thomas?
– Come fa a sapere il mio nome. Ci conosciamo?
– Conosco suo padre e anche lei anni fa è venuto a casa mia.
– Allora spiegami e diamoci del tu.
Iniziai a raccontargli le cose che sapevo di lui e quello di mio padre e della mia famiglia che potevano aiutarlo a ricordare. Non c’erano stati in verità tanti contatti tra le nostre due famiglie, gli amici erano i nostri padri.
– Si Paolo ora mi ricordo, tu hai un fratello di qualche anno più grande di me e tre sorelle, di te mi ricordo solo che c’eri.
– Bè ero un ragazzo, l’ultima volta che tuo padre è venuto a casa nostra prima di tornare in Italia avevo quattordici anni. Poi l’ho rivisto adesso quando è venuto per vendere la casa. Tu sei qui per portare via i mobili, per svuotarla?
Mentre parlavamo lui continuava con il tubo dell’acqua in mano ad innaffiare tutto intorno e quando era girato un po’ di lato, così come lo avevo visto da lontano al mio arrivo, dava l’impressione stesse pisciando. Questo pensiero e altri ricordi d’infanzia che vi associai, mi fecero assumere un’espressione sorridente. Al che Thomas mi chiese.
– Perché sorridi?
– Una sciocchezza.
– E fai partecipe anche me, dimmela.
– È proprio una sciocchezza anche un po’ sconcia, da monelli, da ragazzi monelli.
– E dai mica vogliamo fare i seri? Dimmela.
– E va bene. Quando ti ho visto da lontano eri girato un po’ di spalle come poco fa.
– E allora?
– Bè, sembrava stessi pisciando, solo che il getto non finiva.
La sua risata fu fragorosa, spontanea e contagiosa, anche io infatti mi misi a ridere e aggiunsi.
– Quando da ragazzino venivo al paese, stavamo in campagna, con parenti e amici della mia stessa età, pisciavamo sempre insieme, ci mettevamo in fila, gareggiando anche a chi durava di più e schizzava più lontano.
– Anche io, Paolo, lo facevo a Gallipoli e pure qui, in questo pezzo di terra che tra poco lascerò definitivamente, ma da solo però. Mi piace pisciare all’aria aperta tenendo il piffero in mano e schizzando in alto.
– E facciamolo insieme, Thomas, ora.
Senza aggiungere altro, mollò il tubo di gomma e si spostò in un punto defilato della casa, dove non potevamo essere visti. Lo segui e mi affiancai. E così abbassammo le brache alle ginocchia e iniziammo a pisciare tenendo il pisello in mano e puntando il getto in alto.
Iniziammo a ridere come due cretini, poi smisi perché i miei occhi e con essi il cervello che li comandava non vedevano più quello che stavamo facendo, cioè pisciare, ma stavo guardando un uomo maturo diventato improvvisamente giovane con le brache abbassate che mostrava il suo cazzo scuro e grosso, le natiche strette e dure e tanti peli irsuti e ricci. Quando Thomas si accorse che non ridevo più e guardandomi vide il mio turbamento, capì. Finì di pisciare, mi poggiò una mano sulle chiappe nude e disse.
– Entriamo in casa.

La paura mi aveva irrigidito i muscoli, non riuscivo a fare un passo. Tenendo sempre la mano sulle chiappe e stringendo le dita in segno di possesso, Thomas dovette spingermi. Io mi attaccai a lui per non crollare e un suo morso sul collo servì a farmi riprendere.
Entrati in casa mi invitò a sedere sul divano e andò a prendere due birre. Lo stesso divano dove ero stato con suo padre. Porgendomi una birra anche lui si sedette. Il mio imbarazzo era palpabile come lo era stato prima il turbamento s**turito dal desiderio. Avevo davanti lo stesso uomo ringiovanito di trent’anni, faceva gli stessi gesti del signore suo padre, non lo distingueva neanche quello che indossava, aveva short identici o forse suo padre aveva addirittura indossato proprio quelli. Non ero in grado di muovermi, di prendere la benché minima iniziativa, se non fosse stato lui a essere determinato non sarebbe successo niente.
– Bè che succede Paolo, sei timido? Mi avresti divorato con gli occhi e adesso ti sei bloccato? Vieni qua fammi vedere cosa sai fare.
Mi attirò a se prendendomi per i capelli e iniziò a mordermi i lobi delle orecchie e dietro la nuca. Non erano veri morsi ma mi faceva sentire i denti e questa cosa allentò la mia tensione. Una sensazione forte mi colpì allo sfintere, mi si stava aprendo, dilatando, eppure ero vergine. La sua reazione si vedeva bene negli short che si erano gonfiati, allora mi abbassò ulteriormente la testa premendola sul ventre e mi ordinò di prenderlo in bocca. Lo succhiai con tutta la stoffa degli short che lo tenevano prigioniero e nel farlo involontariamente gli feci sentire i denti. Come ricompensa mi arrivò una pesante manata sulle chiappe, seguita da altre, accompagnate da un frasario pesante ma eccitante.
– Troietta stai attento ai denti, se no te li strappo, usa le labbra e sfilami gli short, succhiacazzo pompinaro.
Per facilitarmi nell’operazione mi allontanò quel tanto che gli permise di alzare un po’ il culo e io potetti sfilargli gli short, intanto ero finito in ginocchio tra le sue gambe. Mi afferrò di nuovo per i capelli e mi portò la testa sul cazzo che prepotente puntava alla mia bocca.
– Dai puttanella, datti da fare, fallo sparire. Succhia, troia.
Ricordai come suo padre aveva ingoiato il mio e provai a fare la stessa cosa. Ma mi veniva il rigurgito e gli occhi mi si erano riempiti di lacrime. Volevo allentare, contenerlo nella bocca, ma lui non me lo permise. Mi teneva la testa premuta sul cazzo e io schiumavo. Mi stava usando, anzi seviziando e mi piaceva. Non c’era alcun dubbio. Lo provava il fatto che il mio cazzo, senza che nessuno se ne occupasse era grosso e duro come di pietra.
Quando sentii i suoi schizzi in gola, sborrai anche io, non mi ero neanche toccato, né lo aveva fatto lui.
A cose fatte e finite, restando in ginocchio, alzai la testa e lui si mise a ridere, una risata allegra a cui mi associai, andammo avanti per un po’, il mio ridere caricava lui, il suo ridere esaltava me. Per lui forse c’era un motivo, il suo sborro non lo avevo ingoiato, mi imbrattava il mento e la mia faccia esprimeva gioia, sentivo di appartenergli e lui era appagato di questa mia sottomissione.
– Sei un lazzarone.
– Perché Thomas.
– Mi hai fatto perdere tempo. Devo impacchettare tutto e lo devo fare in questo week end.
– Tutto qua? Ti aiuto io. Anzi telefono ai miei che non torno a cena e magari neanche a dormire.
Mi diede il compito di incartare e di riporre in uno s**tolone tutti gli oggetti che erano nella credenza e se non rompevo niente ci sarebbe stata una ricompensa.
Lavorammo per un po’ poi io smisi e andai a prendere del cibo pronto in una rosticceria con un scorta di birre per la serata. Non avevo mai vissuto una situazione del genere, sembrava ci fosse tra noi un legame eppure ci eravamo conosciuti da poche ore. Anche se avevo associato a lui altri ricordi che mi avevano sicuramente condizionato, il legame si era creato istantaneamente, dovuto alla nostra complementarietà, lui era dominante e io stavo scoprendo la mia predilezione alla sottomissione.
Giocò con me anche durante il tempo in cui mangiammo. Mi si avvicinò con la bocca piena, mi morse il labbro inferiore e poi mi cacciò in bocca il cibo che teneva nella sua, già parzialmente masticato. Fu per me così erotizzante la cosa che per un po’ smisi di respirare. Lui pensò mi stessi strozzando e mi diede una serie di colpi nella schiena. In risposta agli stimoli ingoiai il tutto, mi avventai su di lui e lo baciai ficcandogli la lingua in bocca come avevo imparato a fare con suo padre.
– Brutto maiale, sporcaccione, pervertito.
Furono le parole che gli uscirono di bocca e dicendo questo si mise a sputare come se il mio gesto lo avesse realmente insozzato, io stavo quasi per mettermi a piangere e lui vedendomi con il viso sbiancato e gli occhi pieni di lacrime, mi abbracciò e mi disse.
– Cretino. E tu ci credi?
Non capisci che scherzo?
Mi afferrò con tanta forza da stritolarmi, anche perché ero svuotato di ogni energia e mi diede un bel e lungo bacio, anche se mi stava succhiando la lingua quasi a strapparmela dalla gola.
Quando smise permettendomi di respirare mi prese alla vita attirandomi con forza a se e mi disse.
– Andiamo fuori, fa più fresco, ci facciamo una bella bevuta e un po’ di confidenze. Dopo mi occuperò di questo
E spostò la mano dalla vita alle chiappe provando a infilarmi un dito nel culo.
La serata era fresca, una lattina sempre in mano e ci raccontammo tutto quello che l’altro chiedeva o che voleva egli stesso raccontare. Sapevo già che si era trasferito per lavoro a Bruxelles, aveva trovato la casa dove avrebbe portato il mobilio ad eccezione di poche cose che i suoi reclamavano e che avrebbe provveduto a far arrivare in Italia. Aveva una compagna. Aveva scoperto la sua tendenza alla dominazione ma era la prima volta che metteva le mani e tutto il resto su un uomo e ne era disorientato.
– Meno male per te che dopo, tutto torna come prima.
– E se io non lo volessi?
– Finirei col divorarti per voglia di possesso.
Prevedendo dicessi qualcosa aggiunse
– E non dire una parola.
Per la prima volta da quando il nostro gioco era cominciato il tono della voce era duro infatti mi afferrò per i capelli e mi diede un morso. Capii che stavolta voleva farmi veramente male ma non ci riuscì e arrabbiato con se stesso mi trascinò in casa.
Come era dolce per me quella violenza fuori controllo, piena di desiderio sfrenato. Infatti una volta in casa, torcendomi le braccia, mi forzò a mettermi in ginocchio, si calò gli short quasi a strapparli e afferratomi per i capelli, tenendomi ferma la testa contro la spalliera del divano verso cui mi aveva spinto, iniziò a pomparmi la gola. Quando ne usciva per farmi respirare si abbassava a portare la sua faccia a pochi centimetri dalla mia e sputava sui miei occhi aperti che senza parole gli dicevano “ti amo, sono tuo”. Subito dopo però pentendosi di quell’insulto si acquattò vicino a me e mi leccò gli occhi riprendendosi la sua saliva.
Un gesto tenero e amorevole che fu subito soppiantato da uno esattamente il suo contrario perché mi artigliò le chiappe con entrambe le mani e mi morsicò le labbra, mi ficcò in gola la lingua, succhiò la mia, una erotica amorosa frenesia sadomaso.
Aveva appena ripreso le operazioni di impacchettamento per sfiammare la sua aggressività e mi disse.
– Guarda cosa ho trovato in questo cassetto.
E mi lanciò una busta con dentro un tessuto a quadroni, di quelli che vengono chiamati scozzesi. Lo tirai fuori dalla busta e lo aprii. Era un kilt.
– Che ci devo fare.
– Mettilo.
Subito mi tolsi gli short per mettermi il gonnellino e lui.
– Ma che fai.
– Non mi hai chiesto di indossarlo?
– Certo. Ma non sai che il kilt si mette senza mutande?
Stavamo in prossimità del letto, vi si sedette, mi attirò a se afferrandomi le mutande e me le abbassò. Io gli stavo di schiena, le mie chiappe pelose erano a pochi centimetri dal suo naso.
– Hai il culo di una scimmia e mi arrapa da morire.
Così dicendo mi si avvicinò e strofinò il naso nel mio solco tra le natiche, sentivo il suo fiutare, il tirar su con il naso, lo avevo fatto io con il padre ora lui lo faceva a me. Ma io avevo intromesso subito la lingua, prediligendo il gusto all’olfatto, lui invece insistette con l’annusare. Mi chiese di mettermi a novanta gradi e di separarmi le chiappe con le mani per scoprirmi di più l’orifizio. Ubbidirgli mi dava un gran piacere, qualsiasi cosa mi chiedesse, anche lasciargli fare di me quello che voleva mi inebriava di piacere, anche il dolore fisico fattomi da lui mi dava piacere, piacere nel dolore. Per annusarmi più in profondità mi ficcò un dito nel culo e poi lo fiutò allungo e quando il mio odore era ormai svaporato, con una risatina sull’ironico e il sarcastico, insomma strana, mi mise il dito in bocca.
– Assaggia e lecca, insalivalo bene che te lo rificco.
Infatti ritornò a penetrarmi con il dito che essendo umido e avendo già percorso quella strada entrò facile. Continuò per un po’ a giocare con il mio buco del culo, il primo dito si accompagnò agli altri e diventarono quattro stretti insieme.
Oramai niente lo poteva fermare, mi buttò sul letto a pancia sotto, mi tolse la maglietta e si sedette sulle mie chiappe, ero completamente nudo. Anche lui si spogliò e mi si distese sopra. Il contatto era lungo tutto il mio corpo che sembrava volesse aprirsi per farlo entrare dentro e nello stesso tempo io stesso desideravo sparire dentro di lui, la compenetrazione di due corpi chiunque fosse a contenere l’altro.
Mi stavo perdendo dietro a queste mie sensazioni, quanto sentii una pressione immane, Thomas si sforzava di entrare col suo grosso calibro e, lottando contro la difficoltà, imprecava.
– Thomas
– Zitto troia, allarga il culo.
– Non l’ho mai fatto, sono stretto. Il tuo non è un dito.
Se anche forzando dovesse entrare, mi squarti e tu ti puoi lacerare la pelle.
– Se lo dici per farmi smettere non ci riesci, non mi fermi. Ti voglio
– E io voglio te, con tutto me stesso, ma devo essere io a prendere le iniziative.
– Cosa vuoi dire.
– È semplice. Tu ci metti il cazzo, al resto penso io e promettimi che lasci fare a me.
Così dicendo mi ero sottratto alla sua stretta e stavo scendendo dal letto.
– Dove vai.
– In bagno, torno subito e non farlo ammosciare altrimenti…
– Altrimenti cosa.
– Sarai tu a doverti girare.
Si mise a sbraitare promettendomi di rompermi di sopra e di sotto. Non gli risposi e entrai nel bagno dove, nell’armadietto che non era ancora stato svuotato e smontato, c’era il tubetto di crema lubrificante che avevo usato con suo padre. Me ne spremetti un bel po’ direttamente dal tubetto nel culo e rientrai nella stanza, tenendo in mano un asciugamani che, oltre all’uso che ne avremmo potuto fare, servì a non far vedere il tubetto che mi ero portato appresso, qualora avessi dovuto ancora fare uso della crema.
Queste creme hanno anche una capacità anestetizzante ma richiedono un po’ di tempo per agire. Allora raccattai da terra il kilt e lo indossai. Mi misi a fare un po’ di moine, simulando il ballo del can-can, alzandomi il kilt dietro e mostrandogli il culo, mi umettavo le labbra con la lingua, simulavo un pompino con un dito. Ma vedendolo sdraiato col cazzo duro a menarselo, la voglia mi era aumentata in modo pazzesco e risalii sul letto. Lo spompinai di gola più che di labbra, per verificare la sua reazione. Se ne stette fermo, come gli avevo raccomandato, con le mani sotto la testa e guardava come se il cazzo non fosse il suo. Allora pensai fossimo entrambi pronti e mi misi a cavallo sul suo basso ventre, acquattato alla turca, come se dovessi cacare e avvicinai la punta del cazzo al mio sfintere.
– Non muoverti, stai fermo, faccio tutto io.
Tutto contribuì a facilitare la penetrazione, la posizione, la lubrificazione con il suo effetto anestetizzante e sopra tutto il desiderio. Così abbassandomi e aprendomi me lo sentii scivolare dentro. Mi sfuggì solo un verso a mezzo tra un ahi e un ah quando, contravvenendo alle mie raccomandazioni, le sue braccia lasciarono la posizione in stand-by, mi presero per le spalle e mi spinsero in giù mentre il suo bacino si inarcava in su. Chi è esperto in queste cose sa che se si sopporta il dolore del primo affondo, dopo è tutto un godere. Mentre continuavo a spingere per non lasciarne fuori neanche un millimetro, gli presi le mani e gliele tenni giù schiacciate sul letto. Io potevo muovermi come volevo, lui invece era impedito dalla posizione allora mi strinse forte ai fianchi e facendo attenzione a non farlo uscire riuscì a mettersi a sedere sul letto e mi ribaltò, schiena a terra e gambe all’aria sopra la sua testa. Per quando tempo mi pompò in quella posizione non lo so dire, i miei ah, ah, ah di piacere e i sui rantoli, soffi, parole masticate, di cui la più comprensibile era “troia”, accompagnavano le stantuffate. Godevo come un maiale e sborrai prima di lui sulla sua pancia. Quando vide il mio sperma lattiginoso e denso riversarsi sui suoi peli neri emise un rantolo forte e continuato, pronunciò più volte a voce alta la parola troia e mi si accasciò addosso.
Approfittai di quell’abbandono e lo riempii di baci lì dove potevo poggiare le mie labbra e sussurrai, per dirlo a me stesso più che a lui, ti amo, ti amo, ti amo.
Nessuno dei due si mosse, cercammo solo posizioni più comode per entrambi e ci addormentammo.
Quella cosa liquida, di cui ero pieno, e che sentivo voleva uscire, mi fece svegliare e andai in bagno. Lui dormiva beatamente stando sdraiato di schiena a gambe larghe e mostrava il suo lumacone. Quando tornai cercai un po’ di posto vicino a lui, ne occupava ora più di prima che mi alzassi.
La troppa felicità non mi consentì di riprendere sonno, mi girai e rigirai, così per riprendere un po’ della mia identità, mi feci una sega ripensando a tutte le cose che avevo appena fatto con Thomas e a quelle che speravo ancora di fare. Questo mi procurò quello stordimento che mi permise di addormentarmi e di svegliarmi il mattino dopo con il profumo del caffè che mi entrava nelle narici.
– Buon giorno Paolo. Dormito bene?
– Non si vede? E tu?
– Non mi è bastato l’inculata che ti ho fatto ieri sera, ho anche sognato di fotterti per tutta la notte.
Così dicendo mi artigliò le chiappe con entrambe le mani, mi morsicò le labbra, mi ficcò in gola la lingua, succhiò la mia. Fu tutta una erotica amorosa frenesia sadomaso. Quando smise ero senza fiato e mi disse.
– Ho preparato il caffè.

Lavorammo di buona lena tutta la mattinata, quello che c’era da impacchettare o che poteva essere smontato per essere meno ingombrante fu preparato. Il tempo che Thomas aveva previsto di impiegare, fatto in due, si era dimezzato anche con le pause che ci prendemmo. Quando gli capitavo a portato di mano mi stringeva le natiche nude sotto il kilt che mi aveva ordinato di indossare, poi mi afferrava per i capelli. La cosa più semplice che mi obbligava a fargli era succhiarglielo per qualche minuto o lasciare che mi infilasse tutta la mano in gola. Di bocca mi facevo fare tutto, è abbastanza larga sia per il cazzo che per la mano, se reclamava anche il culo, a secco non glielo concedevo, portavo nella borsa del kilt il tubetto di crema che mi spremevo direttamente nel culo. Vedendomi usare la crema mi disse.
– Ma dove l’hai trovata. Non sapevo di averla.
– Meno male, se no mi sarebbe venuto un culo da scimmia macaco.
Non potevo mica dirgli che l’aveva portata suo padre.
All’ora di pranzo avremmo potuto già caricare, ma l’appuntamento era fissato per le quattro. Andai a prendere cibi pronti in rosticceria e ci sedemmo fuori a mangiarli.
Un po’ di stanchezza, una birretta in più, l’abbiocco del dopo pranzo e mi addormentai.

– Thomas, rientriamo prima che vengono a caricare.
– Paolo, sappi che tutto finisce qui dove è cominciato.
– Lo so. Regalami però queste due ore, fammele vivere come piace a me.
– Vuoi dire che fin ora non ti è piaciuto?
– Ma che dici, tutto quello che abbiamo fatto è stato bellissimo. Ma tu lo hai fatto con rabbia, lottando con la volontà contro il desiderio. Arrenditi solo per due ore, esiste un altro modo per stare insieme.
– Pensi che non lo sappia. Vuoi che ti faccio vedere?
E si alza, mi prende per mano come avrei voluto fare io, mi cinge con il braccio la vita e rientriamo. Una volta dentro mi abbraccia e mi bacia sulla bocca teneramente, io ricambio il suo bacio che dura un’eternità. Ancora abbracciati ci sediamo per terra, ci sdraiamo e dove sta la testa di uno c’è il bacino dell’altro. La bocca di uno contiene il sesso dell’altro. Chi prima era stato sotto ora sta sopra. La parità sessuale, sono io che lo sto penetrando.

Il suono del clacson mi destò.
– Paolo sveglia, sono arrivati.
Erano in due e, partecipando anche noi, in meno di tre ore caricammo tutto e salutandoli prima di partire sentii Thomas che diceva.
– Fate buon viaggio. Ci vediamo a Bruxelles lunedì mattina, l’indirizzo lo avete.
Erano le sette di sabato sera e mancavano un giorno e due notti a lunedì.
Come li avremmo vissuti?
Potevo sperare che anche solo una piccola parte l’avremmo trascorsa insieme?
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