la figlia dell’harem

la figlia dell’harem
Sono sempre appartenuta a mio padre.
L’ho conosciuto quando avevo circa sette anni. Mia madre, che credo ne avesse circa 19, quella sera mi lavò e profumò e mi portò con lei nel letto enorme di mio padre.
Mi faceva una certa impressione con quella barba scura, gli occhi grandi e chiari, le spade scintillanti appese al balbacchino e quel battacchio fra le gambe.
Mi trovai fra mille cuscini ricoperta di attenzioni di mia madre e ai baci di quell’uomo che mi pareva un gigante.
Mi carezzò e baciò a lungo ovunque ma poi si concentrò fra le mie cosce e mi pare di ricordare che mi addormentai rilassata dalla sua bocca che dolcemente coccolava la mia piccola vulva.
Da allora quasi tutte le notti rimanevo nel lettone. Quasi perchè quando era la notte della preferita,
o meglio della prima moglie, la moglie sposata per “politica” anni fa, ormai avanti con gli anni ma ancora una donna di grande bellezza, nessuna donna ragazzo o bimba divideva il letto con loro.
Mi piaceva il grande letto dove spesso vi era mia madre altre donne.
Mio padre, prima di dormire, trovava sempre la voglia di infilare la sua testa fra le mie piccole cosce che aprivo a lui con piacere, e aspettavo queste coccole per addormentarmi come le bimbe aspettano la storia della buona notte.
Guardavo con interesse quello che facevano nel letto attorno a me. E mi piaceva vedere il grande battacchio che mio padre aveva fra e sue cosce, così diverso da mè, sparire nelle pancie o nelle bocche delle frequentatrici del lettone.
Mi piaceva infilarmi fra i corpi nudi e avevo l’autorizzazione di baciare, toccare o mordere dove volevo. Una ragazza mi iniziò all’arte di usare la mia bocca sulla sua vulva e capii come questa cosa provocasse grande piacere anche alle altre fanciulle o donne assai di più di quanto ne ricevessi io da miompadre. Divenni presto molto richiesta a questa incombenza. Le donne, riconoscenti dei miei servizi, mi assicuravano che avrei goduto molto di più dei favovi di mio padre fra pochi anni quancdo il mio corpo sarebbe diventato maturo per questo piacere. Ma aprire le cosce alla bocca di mio padre era già per me una piacevolissima cosa..
Mi piaceva molto consolare le fanciulle che venivano frustate e carezzare con unguenti le loro natiche e la schieva rigata dalla frusta. A volte ero io stessa a chiedere a mio padre di frustarne una per poi poterla avere nel letto da consolare e carezzare. Alla fine la fanciulla finiva per dimenticare il dolore della frusta sotto la mia bocca che si attaccava come una sanguissuga alla sua vulva.
Fui poi iniziata a tenere la testa fra le cosce di mio padre.
Poi mio padre mi volle vicino mentre infilava con foga il battacchio nella gola di una donna. Appena uscì dalla sua bocca miordinò di baciare la donna nella bocca. Baciare in bocca le ragazze non era cosa nuova per me e obbedii immediatamente. Mi ritrovai a dividere con la donna lo sperma che le riempiva la bocca. Mi ritrassi mentre lui rideva e mi spingeva la testa verso quella bocca piena che mi aspettava aperta…
Sapevo che riutarsi di obbedire significava finire nella sala attigua, con le braccia aperte legate a due colonne e una vecchia dal corpo devastato dalla frusta che si dilettava a lasciarti simmetrici segni sulle natiche. Divisi lo sperma con la donna. E subito dopo mi inginocchiai davanti a lui come aveva fatto prima la donna e aprii la bocca per ricevere il suo membro.
Rise e mi infilò la punta ma evitò di spingere come era solito fare con le altre.
Venne delicatamente nella mia bocca che poi chiuse con la grande mano obbligandomi ad ingoiare.
Da quella sera quasi ogni giorno si serviva della mia bocca ma sempre con una certa delicatezza.
Date le mie dimensioni di bimba di sette otto anni non avrei neppure potuto ricevere in gola il membro per intero. Così lo sbatteva con forza nella gola di una delle sue donne e poi si scaricava nella mia piccola bocca aperta allo spasimo. Quindi obbligava la donna a dividere con me la sua delizia pretendendo lunghi baci .
Ma dopo qualche tempo iniziò a pretendere di più da me.
Se la bocca non era fisicamente in grado di ricevere per intero il suo membro e la mia vulva era ancora immatura per essere aperta, restavo una sola alternativa per possedermi totalmente.
Avevo spesso assistito alla sodomizzazione di donne, fanciulle e ragazzini e sapevo che spesso questi non solo non ne traevano piacere ma anche lo subivano con evidente dolore.
In particolare era molto doloroso per quei ragazzetti che gli venivano donati e che sverginava con passione violenta tenuti fermi dalle donne rovesciati sul ventre su un cavalletto che posizionava il sedere del fanciullo alla giusta altezza dell membro eretto dei mio padre.
Ma a me, sua figlia, non sarebbe toccato di essere presa senza la dovuta preparazione.
Fu così che ogni giorno, su sue istruzioni, una donna si dedicava a preparare il mio sederino di bimba al suo destino.
Mi stendevo a bocconi sulle sue ginocchia e lei mi ungeva il buchetto e lo titillava a lungo.
Contemporaneamente mi titillava la fighetta per rendere più piacevole l’operazione.
Infilava poi un dito nel buchetto e lo lavorava a lungo. Aveva una sincera passione per questo lavoro che la portava spesso all’orgasmo.
La seduta durava molto tempo e finiva con infilarmi un piccolo cilindretto ben lubrificato nel culetto. Cilindretto che fissava con delle strisce di cuioi ai miei fianchi.
Mio padre, vedendendomi cinta così, mi copriva di attenzioni e coccole e mi assicurava che mi avrebbe presto potuta godere totalmente facendo di me la sua favorita.
Mi coprì di gioielli, collane braccialetti, catenelle attorno alla vita.
Mi fece forare i lobi delle orecchie per inserire grandi orecchini. Poi mi fece forare l’ombelico per ornarlo di perle. Infine, in sua presenza, mi forarono i capezzolini che spuntavano su minuscole montagnette dure, per inserirci alri gioielli.
Giravo per l’harem suscitando l’invidia di tutte le schiave e le concubine esibendo con orgoglio i ricchi ornamenti.
E puntualmente mi sottoponevo alle cure della mia istruttrice. Ogni giorno veniva cambiato il cilindro che mi allargava il culetto, mentre quello del giorno prima veniva consegnato a lui a dimostrazione dei miei progressi.
Nel giro di un mese la mia istruttrice riuscì ad infilarmi nel culetto un cilindro delle dimensioni di un pene, anche se nettamente inferiori a quello che mi aspettava.
Naturalmente durante questo periodo di apprendistato non ero affatto esentata dal servire con la bocca il mio padre padrone. A volte lo soddisfavo da sola senza l’aiuto di altre bocche, adoperandomi con le mani a contenere la foga dell’assalto e quindi ricevendo solo in piccola parte il membro. Ma la mia lingua e le mie labbra lavoravano veloci e con sapienza portandolo sempre ad eiacularmi in gola. Dargli grande soddisfazione era per mè un orgoglio. Così fui io a chiedergli di essere presa nel culetto la prima vota davanti a tutte le sue donne.
E così fù.
Diede una grande festa per l’occasione. Ci furono cene e danze, combattimenti fra guerrieri, corse di cavalli. La festa durò tutto il giorno e quando calò la sera diede inzio alla cerimonia.
L’evento si sarebbe tenuto nel giardino. Alle colonne laterali furono legate 10 donne e 2 fanciulli.
Nude e legate con il ventre alla colonna in modo da esporre i culi. In mezzo al giardino il cavalletto, ricoperto di coperte di morbida lana, era pronto per me.
Venni portata scortata da quattro donne velate che mi spogliaroo completamente e posizionarono sul cavalletto, legandomi sopra di questo a gambe e braccia aperte ma col culetto sporgente. Per questo erano stati ricavati del poggiapiedi sulle gambe del cavalletto che mi permettevano di restare comodamente nella posizione.
Lui entrò coi vestiti più belli e infierì personalmente sui culi esposti per provocarsi la migliore erezione.
Mentre si dedicava a segnare natiche e schiene delle schiave e dei ragazzetti, la mia istruttrice provvedeva a ungermi sia esternamente che in profondità. Prima di allontanarsi mi inocoraggiò
con un “ora sei pronta a divenire la favorita dell’harem”
dalla mia posizione non vedevo altro che le gambe delle donne presenti, ma infine davanti ai miei occhi mio padre presentò il suo membro in piena erezione. Frustare lo aveva eccitato per bene e ora io lo avrei soddisfatto pienamente.
Lo senti posizionarsi dietro e puntare sul mio buchetto semiaperto dall’unguento il suo membro.
Il cuore mi batteva all’impazzata. Il mio culetto era ormai per lui. Sarei stata sua pienamente. Gli avrei dato tutto il piacere possibile a qualunque costo.
E lui non fù violento come era solito nello sverginare le schiave. Entrò in mè con dolcezza allargandomi e ritirandosi più e più volte. Ero ormai abituata alle dita della mia istruttrice e al cilindretto di legno che lei muoveva in me ma sentivo questo intruso farsi largo con una dimensione che mi pareva assurda. Iniziai a piangere per il dolore ma anche a gridare “si si siii sii” come mi aveva suggerito di fare l’istruttrice.
Lo sentii entrare ancora più a fondo e mi sembrava di essere spaccata a metà. Sentivo gridare le donne che lo incitavano a spaccarmi. Mio padre si agitava ormai furiosamente dentro di mè nel mio corpiccino che però ora era in grado di riceverlo. Scoppiò un getto che mi sembrò invadermi ino alla gola e persi i sensi.
Da allora sono la figlia favorita, la moglie favorita, ma sopratutto il suo culo favovorito.

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