Le preoccupazioni di mia madre

Le preoccupazioni di mia madre

La storia che sto per raccontare è proprio vera; cambierò solo nomi e il luogo. Mi chiamo Giulio e sono il più piccolo di 4 fratelli. In casa lavorava solo mio padre, piccolo impiegato e non si navigava certo nell’agiatezza.
La mia infanzia fu molto simile a quella di tanti altri bambini del tempo, anni 60: studio, giochi di strada e spensieratezza. Il fatto che cambiò la mia crescita avvenne intorno agli undici anni. Tra i tanti giochi capitava ogni tanto che ci appartassimo in assenza dei grandi e scoprivamo il corpo che andava cambiando: era un gioco che facevamo tra coetanei, indifferentemente tra maschi e con le femminucce. Ci si toccava da soli o a vicenda, si scambiavano carezze, spesso ingenue o innocenti, e si stuzzicavano piaceri piccoli e ignoti.
Un giorno un ragazzo molto più grande di noi, di 19 anni, mi attirò a casa sua con la scusa di darmi dei giornaletti per cui andavo pazzo. Mentre li divoravo con gli occhi ed ero felice per il gran numero di copie, da dietro cominciò a toccarmi le gambe nude; portano dei pantaloncini corti. Dapprima non gli diedi peso, poi cominciò a palpeggiarmi il sedere da sopra i pantaloncini; mi voltai e gli dissi di smettere. Tacque e insistette, poi mi sfiorò sul pisello e lo trovò duro e mi disse con un sorriso malizioso: allora non ti dispiace ! Riprese i suoi palpeggiamenti ma non andò molto oltre; anzi cambiò la mano, usò la sinistra senza mai denudarmi e capii dai rumori che faceva dietro di me che si stava menando il cazzo che vidi solo con la coda dell’occhio: era grosso, nero e lungo: mi fece quasi paura. Gemeva quasi in silenzio per non farsi sentire da una vecchia zia zitella che viveva in casa sua; dopo un pò il suo gemito si fece più intenso e soffocato, mi strinse forte il gluteo e si abbandonò; dal suo cazzo usciva un liquido simile al latte. Il cazzo era ancora duro e lungo, inoltre era anche rosso fuoco. Ripulì in fretta a terra proprio mentre sua zia lo chiamava gridando: sei ancora lì. Ebbi paura, ma lui mi rassicurò.
Dopo un pò uscimmo, ma non sapevo che quell’esperienza avrebbe segnato la mia educazione sessuale.
Qualche giorno dopo a tavola dopo pranzo mia madre approfittò che fossi solo in casa e mi rimproverò molto aspramente, dopo un sonoro schiaffo: aveva saputo dalla zitella del mio incontro con quel ragazzo. Mi rovesciò una lunga serie di ingiurie, mi disse che era disperata e che l’avevo molto delusa. Concluse quella lunga mortificazione solo dopo avermi minacciato che mi avrebbe controllato sempre.
Da allora la mia vita non fu più la stessa: stavo sempre in casa a studiare, mi consentiva di andare a giocare solo a calcetto in uno spazio di fronte casa da dove poteva controllarmi facilmente. Quando non mi vedeva mi chiamava a squarciagola o mi faceva cercare, anche se quell’esperienza non si ripetè più, soprattutto perchè non avevo voglia di ripeterla.
Anche in casa per mia madre sembravo esistere solo io, mi sentivo spiato, trovavo spesso le mie cose fuori posto, intuii che sfogliava pure i miei libri e quaderni: non capivo cosa sperasse di trovarvi. Questo controllo ossessivo però lo faceva in assenza dei miei fratelli e di mio padre che, credo, non seppe mai nulla.
Intanto crescevo e cambiammo casa; persi di vista i compagni della prima infanzia e continuavo a giocare a calcetto e a studiare. Mi avviavo alla pubertà e come tutti i ragazzi della mia età mi capitava spesso di toccarmi, di inorgoglirmi della prima peluria e della crescita delle dimensioni del cazzetto. Di ragazze neppure l’odore, anche per colpa della mia timidezza. Purtroppo anche le mie masturbazioni non erano serene; spesso dovevo interromperle per l’improvvisa entrata di mia madre nella cameretta di studio e persino nel bagno. Non voleva che mi chiudessi in bagno come avrei voluto per via, diceva, del suo bisogno di entrare per la lavatrice o per le tante esigenze del lavoro domestico. Entrava sempre all’improvviso senza rumori che anticipassero il suo ingresso: facevo appena in tempo a togliere le mani dal mio arnese, ma non abbastanza da impedirle di vedere il mio cazzetto duro che fuorusciva prepotentemente dalle cosce, malgrado tentassi di chiuderle. Non diceva nulla, ma lanciava occhiatacce eloquenti.
Avevo da poco superato i 13 anni quando un pomeriggio, tornato dalla solita partitella di calcetto, le chiesi se potevo fare il bagno visto che ero molto sudato e sporco di polvere. Mi assicurò che me l’avrebbe preparato subito; quando fu pronto mi avvertì e mi raccomandò di non addormentarmi in vasca come facevo di solito. Mi parve un avvertimento a non masturbarmi; infatti, anche se il tepore dell’acqua e l’età mi tenevano il cazzo in costante erezione, resistetti alla tentazione di masturbarmi. Lei peraltro entrò ben due volte in bagno: gettò tutte e due le volte un’occhiata finto distratta al mio cazzo e uscì via prendendo uno straccio o la scopa. Finalmente uscii dal bagno maledicendo dentro di me la sua eccessiva preoccupazione che manifestava solo verso di me e non ne capivo le ragioni. Andai in camera mia dove lei mi aveva fatto trovare la biancheria intima pulita; mi guardai allo specchio dell’armadio, allentai il telo umido e il mio cazzo era ancora lì: eretto, duro e caldo che aspettava solo di essere agitato per darmi quel piacere intenso di vibrazioni interiori. Origliai da dietro la porta e sentii che era indaffarata al balcone con la biancheria: presi energicamente in mano il mio cazzo, lo agitai fortemente in sù e in giù, mentre lo ammiravo riflesso nello specchio e dopo pochi colpi un enorme brivido mi percorse la schiena: dal mio cazzo per la prima volta schizzò una sorprendente colata di sperma che bagnò lo specchio, il pavimento e il mio piede. Fui preso subito dopo da un’improvvisa paura di essere scoperto; pulii lo specchio, il pavimento e il mio piede con dei fogli che strappai dal quaderno e, sentendola arrivare, buttai la carta imbrattata sotto la scrivania in attesa di farla sparire appena possibile.
Mi rivestii in fretta non senza aver ammirato per un’ultima volta la cappella ancora rosso fuoco e umida del mio primo sperma: ero felice dentro di me, mi sentivo ora un pò più uomo, anche se l’ansia di essere scoperto da mia madre non mi aveva consentito di godere a pieno quella prima esperienza Ma le preoccupazioni non mancarono: entrò mia madre per ritirare il telo da riporre in bagno e vide quella palla di carta, la raccolse senza pensarci su e afferrandola dovette avvertire quel senso di umido sulle dita. Si fermò per un attimo lunghissimo, si guardò la mano da cui si distaccavano filamenti e passandomi davanti (ero pronto per un solenne rimprovero o peggio) con un sorriso malizioso, mi carezzò i capelli e mi disse con una parola in dialetto: sporcaccione, ora mi racconterai. Avevo paura del solito interrogatorio, invece mi chiese se era la prima volta che eiaculavo, se mi era piaciuto e soprattutto volle sapere a chi aveva pensato nel masturbarmi. Ero imbarazzatissimo e tacqui, ma lei insistette severamente e minacciò di far sapere i miei segreti di bambino; risposi percò alle prime due domande per cui era meno difficile rispondere; alla terza dovetti mentire con qualche difficoltà: per la verità da tempo le poche volte in cui riuscivo a completare una masturbazione la dedicavo proprio a lei che invocavo con parolacce interiori tipo troia e puttana perchè odiavo la sua intromissione nella mia vita intima e… anche perchè crescendo cominciavo ad apprezzare le sue forme giunoniche, ma non grasse che confortavano la mia solitudine. Confessai quindo che avevo pensato ad una compagna di scuola da poco conosciuta. Sembrò soddisfatta e mi disse: bravo. Rimasi di stucco, ma per la prima volta dopo quell’episodio dell’infanzia capii qualcosa delle ragioni delle preoccupazioni di mia madre;
Nell’inverno successivo non successe nulla di particolaremente rilevante tranne il solito controllo ossessivo da parte di lei; imparai ad evitare le sue imbos**te, ma non potei fare a meno quando un giorno, tornato da una lunga e sfiancante partita di calcetto, mi ero attardato per strada per non farmi vedere sudato e paonazzo e asciugai il mio sudore tutto addosso. Quando rincasai, cenai con fatica e andai a letto portando con me un libro dicendo che avrei studiato. Invece ero troppo stanco e un pò depresso; mi addormantai subito, ma fu una nottataccia.
La mattina presto mi svegliai in un bagno di sudore, sentivo tanto caldo e mi girava la testa: avevo la febbre molto alta e un forte dolore all’inguine che non mi dava pace. Mio padre mi misurò la febbre e si allarmò: era quasi 40°. Mi lamentai di un forte dolore all’inguine e pensò che avrebbe potuto aiutarmi quella vecchietta che in un’occasione precedente, all’età di 7-8 anni, mi aveva massaggiato con dell’olio tiepido. Ma la vecchietta abitava nel vecchio quartiere ormai distante dalla nostra nuova casa e forse non era più in grado di essermi d’aiuto.
Intanto mio padre doveva andare in ufficio, i miei fratelli erano già andati via e mia madre si sedette ai piedi del letto per consolarmi: mi pose sulla fronte delle bende bagnate di acqua fredda per abbassare la temperatura, mi fece bere dell’acqua fresca e poi mi chiese del mio dolore all’inguine. Le dissi che mi faceva ancora molto male, ma alle sue insistenti richieste della causa di quel dolore tacqui per non ammettere che era la conseguenza degli sforzi fisici della partita. Mi chiese se volevo che provasse lei a farmi quei massaggi con l’olio tiepido; non dissi nè sì nè no, lasciando a lei l’iniziativa.
Andò in cucina e tornò dopo pochi minuti con un piatto in mano in cui aveva messo dell’olio che aveva prima intiepidito. Sollevò la coperta e poggiò il piatto sul comodino. Stette un pò a guardarmi dall’alto della sua figura: era una donna alta rispetto alle altre della sua generazione e poi mi disse con tono canzonatorio: devo spogliarti io o lo fai da te ?
Abbassai i pantaloni del pigiama e rimasi in mutande, si sedette accanto, avvicinò il piatto con l’olio, esitò, lo riposò sul comodino e mi disse: non vorrai farmi imbrattare anche le mutande di olio. Prima ancora che io potessi rispondere, con ambedue le mani afferrò le mutande ai lati e le fece scivolare rapidamente. Guardò ammirata il mio cazzo che seppure moscio era ormai cresciuto, avevo quasi quattordici anni: istintivamente tentai di coprirmi, allontanò la mia mano e cominciando a spalmare l’olio mi disse: questo l’ho fatto io ed è uscito da me.
Cominciò a massaggiare con molta dolcezza; ogni tanto mi chiedeva se mi faceva male; per facilitare i suoi movimenti spostava di tanto in tanto la verga con una mano mentre con l’altra massaggiava più intensamente la parte interessata. Mi fece allargare le cosce per massaggiare anche più in fondo: le sua dita, lunghe e sottili, sfioravano continuamente i testicoli e si spingevano più giù verso il culo che non mancò di titillare. I suoi movimenti si fecero più lenti e studiati, si piegava su di me e sempre più spesso toccava e stringeva il cazzo che lentamente e quasi contro la mia volontà cominciò a gonfiarsi e allungarsi.
Ormai lo massaggiava sempre più con le mani oleose e i suoi occhi esprimevano una specie di gioia nascosta; sembrava soddisfatta della mia reazione. Chiusi gli occhi e mi abbandonai finalmente al piacere che mi provocavano i suoi movimenti; ogni tanto mi interrogava se andava meglio. Le rispondevo solo con cenni della testa, mentre dal fondo della gola mi salivano gemiti incontrollati di piacere sottile e intenso. Accompagnava i suoi movimenti con complimenti al mio cazzo che, diceva, era fresco di gioventù e caldo di passione. Ormai ero preda totale delle sue mani; lei lo sapeva e rallentava il ritmo per darmi una tortura che rendeva più lunga e gioiosa l’attesa; il mio cazzo si gonfiava nelle sue mani che lo manipolavano a piacimento: lo scappellava, ne ammirava la grandezza e il turgore; i nostri occhi non si incontrarono mai salvo quando infine in un ultimo appassionato orgasmo mi sollevai con tutto il bacino e sborrai tantissimo sulla mia pancia, sul pigiama; uno schizzo birichino mi bagnò il viso. Strinse ancora per un pò fortemente il mio cazzo, si piegò su di me e mi baciò teneramente sul viso: ora non avevo più quelle gocce di sperma sulla faccia, me le aveva succhiate col suo bacio.
Mi aiutò a indossare le mutande e il pigiama; mi chiese maliziosamente se mi sentivo un pò meglio; risposi di sì dicendole che era stata molto brava.
Prima di andarsene, in piedi accanto al letto, si chinò su di me e mi chiese mormorando all’orecchio: a chi hai pensato durante il massaggio ? Esitai a rispondere e intanto ammiravo i suoi seni che prorompevano dalla scollatura senza reggiseno, sfoggiando la loro materna bellezza. Mi ripetè la domanda, mostrando di non voler andare via se non fosse stata soddisfatta la sua curiosità. Chiusi gli occhi, presi il coraggio a piene mani e dissi tutto d’un fiato: a te, mamma.

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