LA FATA DI FERRO

LA FATA DI FERRO
Questa è una storia vera, interpretata con un pizzico di fantasia.
Un grazie particolare alla Principessa che ha voluto donarci questa storia.
Un grazie anche al maestro Mishima e alla sua infinita pazienza.

C’era una volta una giovane principessa, il suo nome era Alba.
Un giorno il re e la regina, suoi genitori, decisero che il piccolo reame, che il buon Dio aveva riservato loro, era troppo angusto, che il denaro per una coppia reale non basta mai e che oltre il bosco, purtroppo lontano, esistevano altri reami … tutti più ricchi, più sontuosi e più alla moda.
In quei luoghi, di sicuro, avrebbero potuto valorizzare la loro nobile discendenza, intrattenere rapporti ed amicizie con famiglie e nobili casate che avrebbero addotto prestigio alla propria ed in ultimo, magari, avrebbero potuto trovare quella fonte, che tutti cerchiamo … ma che alla fine nessuno riesce a trovare: la Fonte dell’eterna giovinezza.
Come si sa, però, dall’altra parte di un bosco tenebroso, si può trovare di tutto; forse è per questo che in fondo ognuno intraprende lo stesso viaggio.
E così fecero i bagagli e partirono, insieme alle persone care e alla principessa Alba, la loro diletta figliola.

Dopo alcuni giorni però il viaggio si dimostrò faticoso e pieno di insidie.
I boschi sono sempre misteriosi ed intricati: di giorno sono pieni di illusioni, ma di notte possono essere popolati di fantasmi e spettri.
Le illusioni però non bastano ai coraggiosi viandanti per superare le ardue prove che li aspettano e i fantasmi li spaventano, facendogli così perdere l’orientamento e la sicurezza in se stessi.
Impressionata da tante peripezie inattese, la regina si preoccupò per la piccola principessa. Allora ricordò, che tanto tempo prima, ella aveva conosciuto una fata molto speciale.
Non che si fidasse ciecamente di questa, ma in fondo lo sanno tutti che le fate, come le sirene, sono frutto delle nostre speranze e della nostra fantasia. Ma, come dicevo, il bosco è insidioso e confonde il viandante mentre la paura, spesso, fa compiere scelte frettolose.
Allora la regina chiamò a se la piccola Alba e le disse:
– Tesoro mio, il nostro viaggio è più complicato di quanto ci auguravamo, ma ormai, lo vedi tu stessa, tutt’intorno a noi le piante sono diventate un groviglio inestricabile e i sentieri insidiosi.
Siamo partiti dai declivi e ora siamo circondati da orridi e burroni; la luce non filtra più gioiosa dalle alte fronde verdeggianti, lasciando posto solo al buio, umido e freddo.
Non voglio che tu soffra per le nostre difficoltà; nel bosco ci sono mille sentieri, molti sono falsi, altri sono ingannevoli e altri ancora non portano da nessuna parte … uno solo conduce alla strada maestra e attraversandolo tutto rivedremo la luce del sole. –
La principessa pendeva dalle labbra della sua mamma, anche perché essendo giovane, non si rendeva conto dei pericoli e delle insidie a cui poteva andare incontro.
Per la ragazza la felicità era stare insieme alla sua mamma e al suo papà … il suo mondo finiva lì e quella era l’unica misura della sua gioia … ma i ragazzi, lo sappiamo tutti, non capiscono niente.
Allora la regina continuò il suo discorso:
– Faremo così! Mentre noi cerchiamo di uscire da questa situazione, tu ci attenderai a casa di una fata che ho conosciuto tanto tempo fa, una vecchia amica, insomma. Ricordo ancora dove inizia la stradina che porta a casa sua, vieni! – e prendendola per mano la condusse in una radura, non troppo lontana.
– Ecco – disse la regina e indicò col dito un vialetto incantevole – guarda attentamente. Quello è il sentiero che porta alla sua casa. Non ti puoi sbagliare, perché all’ingresso c’è quell’insegna infissa sul palo, la vedi? –
Alba aguzzò la vista ed effettivamente vide un paletto sul bordo della via, con un piccolo cartello fatto con la corteccia di un albero secolare.
La principessina annuì e la regina continuò:
– Ecco vai pure da lei e affidati alla sua ospitalità. Ogni sera ci ritroveremo qui, in questa radura, fino a quando non avremo trovato la nostra strada. –
Si baciarono e si abbracciarono e Alba, non senza un’ombra di paura, vide la sua mamma che si perdeva tra le fronde.
Ma durò solo un attimo … poi con la curiosità tipica dei ragazzi, si affrettò lungo il sentiero sormontato dall’antico cartello.
Sul legno si leggeva a stento l’epigramma che il tempo aveva scolorito:
“ Qui abita la Fata di Ferro.
Lei ama tutti e nessuno.
Lei sfida la vita, ma la teme.
Quando gioisce … fa male.
Non è una vera Fata,
ma neppure sa essere una vera Strega. ”
Le lettere, sbiadite, un tempo vergate con il colore del sangue arrugginito, fecero un certo effetto sulla piccola principessa ma visto che non le poteva capire, decise di incamminarsi per il sentiero, che ad ogni passo si arricchiva di fiori, colori e profumo di Gueralin.

Parte prima

– E questa è Nicòle! Visto? Te lo avevo detto che non era più una bambina … il tempo passa in fretta, accidenti! – la mamma della ragazza sorrise a Flora, la sua amica.
– Su Nicòle, stringi la mano a Flora, presentati come si deve. Dai! – la donna incalzava la figlia, in quanto teneva a far bella figura; amava ostentare la figliola come un trofeo, per dimostrare a tutti la sua buona sorte e la conseguente felicità.
Nicòle sbuffò sbarazzina e mimò un inchino teatrale, poi stemperò la scena con un sorriso:
– Piacere! – disse rapidamente – Scusa, ma mia mamma mi farebbe sfilare, come al circo, se potesse.
– Certo! – disse sua madre prendendola in giro – Perché solo in un circo sfilano le scimmie come te! –
Flora rise divertita: – Non c’è che dire – cominciò – non potevate essere più “diversamente” uguali. –
Strinse la piccola mano della ragazza squadrandola da testa a piedi: – Ha ragione tua mamma. Sei veramente bellissima … come scimmietta, intendo! – risero di gusto tutt’e tre.
Poi Nicòle e sua madre seguirono Flora all’interno della villetta in periferia, ma collegata benissimo al centro città.
– Vi preparo un bel tè: lo gradite? Oppure una cioccolata … non so, scegliete voi stesse e non fate complimenti. –
La cucina faceva parte di una sala ricavata in un unico grande ambiente, che ospitava una zona divani e un grande tavolo da pranzo. Sul fondo, davanti ad un ampia vetrata, una lunga banchina di legno di noce, faceva da separé alla zona cucina: era bellissima, tutta rivestita in tozzetti di ceramica dieci per dieci. Una sequenza infinita di sfumature di colore che andava dal giallo al marroncino trasmettevano un senso di calore.
La casa era molto accogliente ed estremamente pulita.
Erano anni che le due donne non si incontravano e la madre di Nicòle si gustò quei momenti.
– Se me lo avesse predetto un’indovina, non ci avrei creduto … così lontane da casa … per poi ritrovarci qui. Sono proprio contenta! – Mentre Franca, la madre di Nicòle era vivace, a volte quasi aggressiva, Flora aveva un carattere allegro, ma parlava di meno.
Era una di quelle persone che ti danno sicurezza: un sorriso quieto accompagnava ogni suo gesto e guardarla preparare il te era rilassante, così come tutto l’ambiente che si era creata intorno.
A Nicòle piacque subito quella figura di donna matura e prosperosa … con i seni generosi che premevano sotto il camice, solare e sottile, che indossava per casa.
– Nicòle, preferisci della cioccolata calda? – chiese Flora con la sua voce carezzevole e la ragazza non seppe resistere: – Oh, si, per favore … è molto più buona del te, la ringrazio. – rispose la ragazza, mentre ispezionava la casa con lo sguardo.
– Dammi pure del tu, Nicòle – disse Flora – non sono mica vecchierella come la tua mamma … ! – rise, sgranando quei suoi denti piccoli e bianchi che sembravano tante perle.
Franca protestò, bonariamente.
– Vieni Nicòle, forse ho qualcosa per te: ti dovrebbe piacere più delle nostre chiacchiere … – le fece strada verso la zona living, dove un grosso televisore era posizionato su un tavolino, zeppo di film in DVD.
– Qui dovresti trovare qualcosa di adatto a te, la figlia di mio fratello lascia in giro un sacco di questi film … sono quelli che piacciono tanto alle ragazze. –
– Uaho! – esclamò estasiata lei, scartabellando tra le custodie di plastica – ma questo è l’ultimo di Brad Pitt … per favore … – guardò Flora, cercando di fare la migliore interpretazione di “occhi da cerbiatto” – posso guardarlo? –
Flora dovette fare uno sforzo su se stessa, per non restare immobile e godersi quegli stupendi occhioni languidi, sbrigativamente replicò:
– Ah, cara mia, per me Brad Pitt te lo puoi anche sposare, non guardo mai film moderni, quindi … –
– Nicòle! Tra breve torniamo a casa! – urlò Franca in direzione del salotto, dove la figlia si era già impossessata della TV; con la maestria tipica dei giovani aveva già effettuato tutte le manovre per far partire il film sul grande schermo piatto della televisione.
– Dobbiamo rientrare di corsa. – poi rivolta a Flora – Sai cara non stavo nella pelle dalla voglia di rivederti, ma siamo appena arrivati … figurati che a casa ho ancora gli operai che montano i mobili, e lunedì dobbiamo già prendere servizio: non sto qui a raccontarti che casotto possa esserci a casa mia! –
Intanto Flora, incurante del tornado che s**tenava sempre Franca, continuò con metodo le sue operazioni: servì un buon tè per entrambe sul tavolo della cucina e poi raggiunse Nicòle con una tazza di cioccolata fumante e un piatto di biscotti fatti in casa che sparirono rapidamente dal vassoio.
Franca intanto era già in piedi, s**ttata come una molla: – Dai, sono curiosa di vedere la tua casa! – disse la donna, mentre col mento indicava la ragazza, che ignara era rapita dalle immagini del suo “bel tenebroso”. Flora capì e con il suo tè tra le mani fece strada all’amica per le scale che portavano al piano superiore. Di sopra c’erano due camere e un secondo bagno molto comodo e spazioso.
– Ma è carinissima: che bella! – disse la signora Franca – e … queste mattonelle, deliziose … ti spiace se approfitto? –
– Ma scherzi? – disse guardando Franca, che rapidamente si abbassò pantaloni e le collant, per urinare. – Vengono dall’Italia … Vietri sul Mare, per la precisione … i listoni sono tutti decorati a mano, uno per uno. Piacciono tanto anche a me … hanno i colori forti che si vedono solo nei posti in cui il sole è splendente. –
Mentre si dava una controllata davanti allo specchio ovale, incassato nell’intonaco e circondato da una cornice anche essa in ceramica, Franca divenne più confidenziale nei toni e raccontò rapidamente le sue ultime peripezie all’amica.
Era un momento di sbandamento totale … suo marito, il padre di Nicòle, era stato trasferito in fretta da una città all’altra.
La stessa Franca, per fortuna, aveva trovato impiego grazie a un collega di lui: un lavoro da cassiera, anche se spesso le sarebbe toccato svolgere il turno serale. Ma non si lamentava, dopotutto l’importante era aver trovato un lavoro.
Lui aveva altri due figli, dal primo matrimonio, ma erano grandi … anch’essi si erano trasferiti per necessità, ma presto si sarebbero organizzati per andare a vivere nella stessa città dove frequentavano l’università.
Flora la seguiva quieta, sorbendo il tè cercando di non perdersi quelle descrizioni frettolose …
l’amica le aveva accennato qualcosa riguardo a un po’ di aiuto su cui contava, ma Flora preferì ascoltare attentamente, per capire dove “la Franca” sarebbe andata a parare.
In realtà, la mamma di Nicòle, chiedeva che nei pomeriggi in cui lei era al lavoro o impegnata la ragazza potesse stare da Flora, ma non voleva solo un aiuto pratico: tutta la famiglia stava attraversando un momento di confusione.
I figli maggiori erano frastornati dal trasferimento ed erano diventanti intrattabili. Il matrimonio si stava sgretolando a causa di una relazione che il marito aveva con una collega di lavoro.
La stessa Franca venuta a conoscenza di ciò, da oltre un anno era depressa e cercava a sua volta qualcosa di diverso da quell’amore coniugale che ormai le veniva rifiutato.
Vecchi problemi irrisolti del passato si erano insinuati in seno alla sua famiglia ed ora stavano minando ogni rapporto.
– La piccola è agitata e nervosa – continuò la signora Franca – e la nostra famiglia è talmente scombinata, che noi stessi siamo incerti sulle scelte da compiere … – la fissò. – ecco: vorrei affidarti Nicòle per il doposcuola affinché tu possa insegnarle la lingua e aiutarla a passare questo momento piuttosto turbolento. Naturalmente sarai adeguatamente retribuita… è ovvio! Sai non me la sento di affidarla a un’estranea in un paese che non conosce … per lei sarebbe solo un ulteriore trauma e francamente vorrei evitarle altro strapazzo. –
Flora la interruppe, alzando decisa una mano:
– Alt! Tesoro mio! – disse decisa – Non è una questione di soldi… figurati … ma ciò che mi chiedi è di grande responsabilità. Cosa ti fa credere poi che le maioliche italiane e la cucina in veranda rappresentino il paradiso? – la squadrò quasi offesa: – Anche io ho una mia vita, sai? Il fatto che vivo da sola non vuol dire che non ho “nessuno” ma, soprattutto, anche io ho i miei problemi … purtroppo. – e il suo viso si ammantò di una delicata tristezza.
I loro occhi si incrociarono … Flora sorrise, vedendo lo sguardo sparuto di Franca, sembrava lei la bambina confusa, adesso.
– Oh, insomma – disse infine risoluta – e va bene! Facciamo una settimana di prova, ok? – Franca annuì, aveva la stessa aria di un cane che scodinzola – Però voglio sapere con precisione i giorni in cui la ragazza verrà da me. Io posso riceverla dalle tre. Non prima. Sono impegnata col lavoro e dalle mie cose … e la sera a casa alle venti. Domenica prossima ti farò sapere se voglio e posso prendermi l’impegno di fare da baby sitter a una “bambona” più alta di me! – sorrise bonariamente.
Si accordarono su un compenso forfettario per le spese, ma non era quello il problema che sarebbe potuto sorgere tra loro.

Quella sera da sola nel lettone Flora, ad occhi chiusi, tornò con la mente tutto alle impressioni che le aveva suscitato Nicòle.
Le forme acerbe, i seni piccoli e di certo duri come il marmo… a questo punto i suoi pensieri si illanguidirono immaginando il fiore acerbo tra le sue cosce … avrebbe pagato per poterlo almeno annusare, proprio in quel preciso istante, ma per ora poteva essere solo un sogno.
I suoi pensieri diventarono sempre più lascivi.
Allora le immagini, che in quel momento creava con la fantasia, si confusero con i ricordi più reali e tangibili del passato. Il volto della giovane si confuse con quello della madre, quando era giovane e fresca: la rivide mentre abbassava la testa, dai capelli fluenti e lei che si tuffava sulla sua figa bagnata e intrisa di odori che sapevano di piacere.
La lingua di Franca affondava in profondità nel suo fiore. Ricordò tutte le volte in cui ella stessa aveva ricambiato quell’esasperante frugare con la bocca tra i peli della vulva fino a scavarne il solco per profanarlo con bramosia.
La figa di Franca nell’eccitazione si confondeva con quella di un’altra, una donna sconosciuta, dai contorni indefiniti e illuminata dalla luce che le arrivava di spalle, occultando i lineamenti del suo viso. Ma poco dopo, fresca come rugiada, appariva l’innocente visione di Nicòle.
Ansando e grondando umori, la donna se ne venne tra le dita, introdotte da tempo nella sua fessura.

La Fata di Ferro aveva una casa che solo nel mondo delle fiabe era possibile immaginare.
La giovane principessa si era presentata alla Fata armata solo della sua innocenza … della sua voglia di vivere e dei suoi timori.
Aveva vissuto gli echi del bosco e la forza della paura e il peso dell’indifferenza, tutto questo si contrapponeva all’ambiente fiabesco che ogni volta l’attendeva.
Era stata accolta come la più bella delle principesse.
Le miscele di cacao più esclusive arrivavano da ogni parte del mondo per confezionare le sue cioccolate, mentre biscotti, marzapane e miele non mancavano mai all’ora della merenda.
La Fata di Ferro era intransigente: prima di tutto i compiti.
Ma, come per incanto, anche quelle ore, passavano spensierate: era bello studiare se il premio era un sorriso della fata, faceva del suo meglio per collezionare buoni voti, pur di non interrompere quel connubio felice.
La Fata di Ferro sembrava la migliore delle amiche.
Bellissima, grande, prosperosa … indossava sempre vestiti colorati e sgargianti: un vero e proprio inno alla gioia.
Aveva mille abiti, tutti troppo corti per nascondere le sue grosse gambe sinuose, tutti troppo stretti per contenere accuratamente i seni gonfi e tondi o le natiche prorompenti e morbide, proprio come il sedere di una micia, mollemente ingrossato dalla gravidanza.
Nella casa della Fata tutto era a sua disposizione e lei non doveva far altro che essere felice.
L’aiutava nelle sue scelte, condivideva le sue idee, consigliandola di volta in volta con l’esperienza che la donna aveva accumulato negli anni, tanto che Alba non trovava mai da obiettare ai suoi consigli sussurrati … anzi. Potremmo dire piuttosto che pendeva dalle sue labbra.
Ma la cosa più importante era che la Fata del Ferro le dava tutta la sua attenzione, incondizionatamente.
Nulla in quelle ore era più importante della principessa. Il centro dell’universo per la Fata di Ferro era Alba e tutto ciò che lei diceva era importante, unico e prezioso.
Quando era in famiglia, provava piacere, ma il mondo delle Fiabe l’attendeva, ormai quotidianamente, e non vedeva l’ora di poterci ritornare: alla fine del sentiero tra le buganvillee e gli oleandri colorati e velenosi.
Ogni giorno la principessina si sentiva più grande e più forte, ogni giorno correva verso nuove esperienze. Celato nel suo cuore di piccola peccatrice aveva anche un segreto inconfessabile ma sublime: una delle cose che l’attraeva della Fata era il corpo di lei. Sarebbe rimasta ore a rimirarlo.
Già quell’unico incantamento sarebbe bastato a rendere quelle visite improcrastinabili.
Lei era bellissima e per la gioia di Alba molto distratta.
Quando sedevano al tavolino delle ghiottonerie, spesso accavallava le lunghe e grandi gambe, senza curarsi del camice che si alzava e salendo … andava sempre più su ad ogni movimento della giunonica fata mettendo in mostra le calze … sempre diverse … sempre di nuovi colori.
Quelle che le piacevano di più erano quelle nere.
Le calze nere sembravano sempre di una misura più piccola, la seta era tesa sulla pelle, rendendola appetitosa, mentre lo sguardo, ipnotizzato da quella visione, cercava il punto dove il nero deciso dell’orlo merlettato, liberava con uno sbuffo lievissimo la carne rosea e chiara della Fata di Ferro.
Anche quando lei si sedeva su un basso puff, sgranocchiando cannellini e lacrime d’amore, era facile che Alba riuscisse a carpire un’immagine delle sue mutandine, schiacciate tra le cosce.
La fata si sedeva lì, poi andava e veniva per sfaccendare; lo faceva per non rubare spazio ad Alba, che da principessa quale era, le aveva riservato il posto d’onore sul divano.
Ad Alba non dispiaceva nemmeno il suo gironzolare per casa alla ricerca di un granello di polvere vigliacco o di uno dei tanti oggetti, che in quella casa fatata avevano la strana tendenza a cadere negli angoli più nascosti.
Da quando aveva scoperto che la fata, per ritrovare gli oggetti, si metteva carponi mostrandole inavvertitamente il fondoschiena oppure le poppe gloriose, Alba, pur essendo affettuosa e servizievole, non si offriva mai spontaneamente come volontaria “nel cercare”, ma lasciava che la donna facesse tutto il lavoro da sola.
La fata aveva infinita pazienza e nulla chiedeva alla sua preziosa ospite.
Per fortuna, tutti i rossori e le vampate peccaminose della giovanetta passavano inosservati, tant’è che una volta, fattasi coraggio, Alba dal gabinetto chiamò la fata con una scusa e si fece trovare seduta sul vaso, con le sottili gambe spalancate e le labbra rosse della vagina dischiuse.
Ma la Fata di Ferro non disse niente e niente notò, chiusa nella sua virginale indifferenza.
Al contrario la principessa, per la vergogna sopravvenuta dopo l’eccitazione, non volle tornare da lei per due giorni.
Ma il terzo giorno la fata chiamò … e tutto riprese come prima.

Flora, credeva di impazzire … tanto la situazione era diventata insostenibile.
Nonostante le promesse fatte a se stessa e alla madre di Nicòle, la presenza della ragazza era diventata troppo intrigante e opprimente per lei.
Il piacere che provava a sentirsi osservata di nascosto da quella piccola troia le rimescolava il sangue nelle vene e appena la vedeva o la pensava, si ritrovava gli slip inzuppati. Dal primo istante in cui Nicòle giungeva a casa, la sua vulva iniziava a grondare di piacere.
Desiderava l’orgasmo per ore, mentre le sue guance avvampavano e i suoi seni sudavano.
La voleva!
Voleva sfogare sul suo corpo quell’infinito desiderio …
Il primo giorno che Nicòle disertò le lezioni, Flora respirò e dopo settimane di stress riprese il controllo sulla sua vita e sulla sua casa.
Era una piccola despota … piccola canaglia … la sua principessa.
Il secondo giorno si immalinconì. Le mancava. Voleva essere tiranneggiata ancora da quella impertinente spiona … le mancavano i suoi occhioni che le fissavano le cosce.
E si che Nicòle aveva davvero esagerato … farsi trovare nuda nel bagno con passerina ancora bagnata di orina. Per poco non le aveva ancora ordinato di asciugarle la figa … con la bocca… con la lingua.
Ahhhh … che delizia, pensava: ma niente! Doveva comportarsi da donna una adulta e responsabile.
Doveva resistere!
Quella sera chiamò un suo amico, per dare sfogo al vulcano della sua libidine.
Ma l’uomo era già impegnato. Il fatto che lui non potesse raggiungerla, la rese ancora più furiosa.
Si masturbò meccanicamente sul suo letto, ma il piacere la rese ancora più eccitata ed incapace di vincere il desiderio di Nicòle.
La sera del terzo giorno la fece finita … telefonò.
– Ero certa che ti avesse avvisato – diceva Franca, perplessa – i giovani di oggi non hanno più nessun rispetto! –
– No, lasciala stare, sono ragazzi, magari qui da me si annoia … purtroppo non ho vicini con ragazzi della sua età. La capisco … poverina! – la giustificò Flora.
– Aspetta adesso te la chiamo, vediamo come si sente … – poi Flora trepidante e impacciata udì le voci lontane di Nicòle e della madre:
– Ma che ti salta in mente? Perché non hai avvertito Flora che stavi male? – diceva la madre alla figlia e questa di rimando – Uffa, ma io non stavo bene, pensavo che glielo avessi detto tu … –
E la mamma – Sei una gran maleducata … adesso vai al telefono e scusati … – seguirono altre parole che non fu in grado di sentire.
Dopo poco arrivò Nicòle alla cornetta: – Scusa! – esordì.
– E di cosa, tesoro mio, mi dispiace se sei stata poco bene … – disse raggiante Flora – ma adesso come stai? –
– Sto bene – continuò laconica Nicòle. Poi si sentì confabulare … – dice mamma, se non disturbo, posso continuare a venire da te? –
Flora non seppe dissimulare la gioia che le procurarono quelle poche parole, così con la voce rotta dalla trepidazione disse: – Lo sai, Nicòle, ormai questa è casa tua … devi decidere tu, se vuoi … vedermi, ancora. –
– Si. Voglio venirci ancora … – disse la giovane.
Il giorno dopo, quando entrò nella casa, un profumo fragrante di torta di mele e cannella la pervase.
Flora le venne incontro e si abbracciarono senza parlare.
Da allora però, la donna non si sedette più sul puff, ma sul divano … di fianco a Nicòle.

Ormai il ghiaccio era rotto e la Fata di Ferro non teneva più stretti per se i suoi segreti.
Anzi, burrosa e languida, aveva deciso si darsi alla principessa Alba, anima e corpo.
Ad Alba non sembrava vero.
Il pomeriggio facevano una merendina e chiacchieravano del più e del meno, come due amiche del cuore. Poi si dedicavano ai compiti, perché una vera principessa deve essere in gamba, la fata glielo ricordava tutti i giorni.
Poi arrivava il premio.
Il premio era: la confidenza … l’intimità…
La fata, rassegnata, si donava completamente a lei, perché soddisfacesse la sua lussuria e i suoi sentimenti lascivi … di giovane, curiosa e impertinente.
Allora la screanzata si sedeva accanto a lei. Spesso si servivano di un piccolo plaid con una fantasia scozzese, in quei casi Alba gioiva ancora di più.
Spesso guardavano la televisione nelle lunghe serate invernali; prosperosa e in carne la Fata di Ferro si piazzava sul divano, e seguiva con finta attenzione qualsiasi programma pur di starle vicino, altre volte la donna le leggeva delle storie oppure le parlava della sua gioventù. Le loro gambe celate sotto la coperta iniziavano a strusciarsi… il rumore del feltro che si toccava eccitava entrambe.
Ad Alba non mancava mai la scusa adatta a cominciare: ora per lo spasso, ora per la paura … ogni pretesto era buono per stringersi a fianco della Fata di Ferro.
Allora, specialmente se protette dal plaid di lana, le piccole mani sottili cominciavano a frugare.
La ragazza abbracciava al donna in cerca di affetto e ne esplorava ogni rotondità, ogni curva.
Le dita affusolate vagavano sul cotone del camice, a volte perdendosi tra le roselline sul fondo nero, altre cogliendo le margherite, prepotentemente sparse e più la Fata taceva, più queste si prendevano delle confidenze.
Dapprima voleva accarezzarla con delicatezza e disinteresse: carezze distratte, occasionali, come se nascessero spontaneamente e senza scopo.
Ma poi l’eccitazione aumentava e con essa il parossismo, i movimenti diventavano sempre più rabbiosi, sconnessi, convulsi … quelle mani “possedevano” letteralmente la grossa fata.
Alba le toccava i fianchi abbondanti, poi strisciava serpeggiando fino alla pancia di lei, che era generosa e morbida, allora di piatto si infilava sotto la carne e carezzava l’inguine.
Poi tornava su … cercava le mammelle e tirava e premeva e giocava con i bottoncini dei capezzoli.
Si sentivano al tatto, gonfi e costipati sotto la veste, pressati nel reggipetto.
Poi le dita esploravano il collo, la nuca, titillavano i lobi …
La fata moriva lentamente di languore.
Il cuore impazziva e piccole gocce di perla le cingevano la fronte.
Il plaid faceva da complice.
Allora la ragazza diceva di aver caldo. Da sotto la coltre faceva scivolare via dalle gambe di gazzella la gonna e restava solo in mutandine e calzettoni.
La carne nuda cercava di nuovo il contatto, scostava il cotone, strusciava sulla seta e trovava infine la pelle dell’altra.
E quando la carne delle due si incontrava, per entrambe era il tripudio.
Quel desiderio era tanto più grande quanto più era proibito e sofferto.
Il silenzio falso della fata faceva tremare la giovane principessa. Ogni attimo temeva di essere scoperta, quindi allontanata, scacciata.
Sapeva che stava approfittando di tutte le magie della Fata di Ferro, ma non riusciva a trattenersi!
Doveva bere a quella fonte.
Ogni sera si riprometteva di resistere a quella sete, ma il pomeriggio successivo i suoi buoni propositi capitolavano e si rituffava in quel corpo arrendevole, morbido, materno … che gioie provava e quanto si bagnava il suo fiore nascosto!
Tornava a casa con le mutandine fradice di lussuria.

Il pomeriggio era freddo, nonostante la primavera fosse appena arrivata.
Nicòle arrivò con le guance e le ginocchia arrossate. Il piccolo naso ghiacciato.
La sua figura slanciata emerse superbamente tra i giochi di luce degli specchi della porta.
Flora restò abbagliata dalla sua bellezza.
Era martedì. La ragazza era mancata due giorni, anzi quasi tre, e la donna si rese conto di quanto la amava.
Padrona del mondo, Nicòle si spogliò del soprabito e tolse la sciarpa bianca.
Poi tolse il cappello di lana lasciando scorrere sulle spalle i capelli d’oro.
Inondò poi la casa di sorrisi e parole senza senso …
Niente scuola per domani, niente compiti oggi … stabilì, spadroneggiando, che era il pomeriggio adatto per guardare “Il dottor Zivago”.
Flora avrebbe voluto piangere, ma non lo fece, né si oppose alle richieste della giovane … l’attendeva da troppo per non esaudire i desideri la sua piccola “tiranna”.
Iniziò a sentire le farfalle nello stomaco, mentre con la mente pregustava le carezze che bramava da troppo. Le loro mani avrebbero danzato con le dita, intrecciandosi e respingendosi come ballerine su un palco.
Non riusciva a porre freno al suo desiderio, né a quello della ragazza.
Ma erano in stallo … non poteva continuare così … la donna adulta decise di rompere gli indugi:
– Vai a fare pipì allora – disse Flora – altrimenti dopo ti seccherà alzarti. – le sorrise – io intanto vado a preparare il tè. –
– Si, Badrone! – la prese in giro Nicòle.
r06;Mentre Flora armeggiava in cucina, la giovane che si attardava nel bagno, gridò:
– Ho una sorpresa, vuoi vedere? –
– Ho, hooo! – rilanciò Flora – difficilmente le “tue” sorprese promettono niente di buono per il mio “destino”! –
– E invece si, guardami! – uscì dal bagno e si mise in mostra per l’amica.
Aveva indosso solo lo spesso maglione a coste. Sotto invece dei calzettoni indossava dei collant neri e velati.
Flora ebbe un sobbalzo, nonostante la ragazza tenesse le cosce serrate, era evidente che non indossava le mutandine.
– E guarda, ora! – disse Nicòle, con un sorriso che sapeva di giovanile impertinenza. Divaricò i piedi allargando le gambe. La sua passerina bionda, delicatamente pelosa, faceva bella mostra di sé sotto la pelle candida dell’inguine, tutt’intorno le collant, squarciate grossolanamente con le dita, facevano da cornice a quello spettacolo mozzafiato.
– E’ una mia invenzione! – disse la sgualdrina – Ti piace? –
Non attese risposta. Tanto sapeva bene che non sarebbe arrivata.
La bocca di Flora si era spalancata per lo stupore, ma la povera donna non riusciva a proferire una sola parola. – Queste sono più calde, starò comodissima … e senza le mutandine, posso fare la pipì comodamente. – alzò gli occhi e fissò Flora con aria spavalda, gli occhi di cerbiatta la sfidarono senza pudore.
Flora riuscì a distrarre la sua attenzione da quello spettacolo. Col respiro affannoso finse di borbottare qualcosa sui giovani, voltandosi per nascondere il rossore del suo volto eccitato.
La donna si dedicò tenacemente a filtrare il te e lo versò caldo nelle due tazze preferite, poi senza una parola si ritirò di sopra in camera.
Nicòle si era già sistemata sul divano, accogliente come un’alcova. Il film era appena partito. Dalle scale spiò Flora che tornava in salotto. Si era cambiata: ora indossava una lunga camicia da notte stretta ai seni, in stile impero e sotto si svasava leggermente … sul davanti aveva i bottoni.
La ragazza notò che la donna non aveva più le calze. Avrà caldo, pensò tra sé e provò piacere a quella vista.

Quel pomeriggio la Fata di Ferro aveva indossato una veste leggera con i bottoni sul davanti.
Come sempre, in silenzio, si sedette accanto ad Alba. Dopo pochi minuti la principessa si raggomitolò al suo fianco; come sempre iniziò ad assaporare l’atmosfera di voluttuosa che si creava tra loro. Chiuse gli occhi ed aspirò il profumo fresco sulla sua carne delicata.
Tirò sul divano le due gambe fasciate dalle collant, mentre abbandonava la testa sul braccio della fata; pochi istanti dopo con la mano liberà scivolò dalle sue gambe sottili, a quelle deliziosamente grosse della donna matura.
Spingendo sul cotone leggero, sentì che scivolava facilmente sulla pelle nuda delle cosce. La principessa ebbe uno dei mille brividi, che ormai facevano parte di quella sua precoce sessualità.
Curiosa, col cuore che batteva, la mano trasgressiva scivolò verso l’alto; scavalcò la pancia, si soffermò sull’ombelico teso, per poi risalire il lieve pendio che arrancava sotto i seni generosi.
Avrebbe voluto lanciare un piccolo grido di vittoria, ma si trattenne mordendosi le labbra: si era appena resa conto che la donna aveva tolto anche il reggiseno. Le sue poppe deliziose e calde poggiavano solo sul corpetto della vestaglia ed erano trattenute dal prorompere solo dai bottoni.
La voglia divenne violenta.
La fata taceva … come se nulla stesse accadendo tra loro.
Il volto sembrava quello della Sfinge.
Guardava senza vedere in direzione della televisione, le labbra serrate enigmaticamente, non un briciolo di emozione faceva capolino sul suo viso.
I suoi occhi penetranti evitavano accuratamente di incrociare quelli di Alba.
Sembrava lievemente annoiata e del tutto indifferente alle passioni contrastanti che agitavano la giovanetta.
Alba voleva toccare la pelle nuda di lei, ma non voleva sembrare troppo insistente. Alla fine si fece coraggio. Stavolta doveva tentare. Non poteva restare per sempre nell’insicurezza e col petto in fiamme.
Le dita sottili della sua mano, acquistarono coraggio, e come artificieri che manipolano una bomba inesplosa … uno dopo l’altro sbottonò i tre bottoni, che scendevano dall’alto verso il basso, del decolté della Fata di Ferro.
I seni tracimarono come un fiume in piena, privi oramai di ogni difesa. Non più trattenuti, si allargavano mollemente, allontanandosi l’uno dall’altro. Tra di essi apparve allora come una vallata rorida di sudore. Come provenisse dal sottobosco nel mese di agosto: una zaffata di profumo di donna invase le nari della principessa impertinente.
Alba era insicura nel leggere i segnali del piacere, ma di certo non evitò di cercare la voluttà tra quelle due montagne calde e tenere. Sulla sommità, sorgendo come un tempio tibetano, dall’aureola larga e scura i capezzoli, turgidi e torniti, grossi come la punta di un dito svettavano, allettando al piacere.
Il contatto della pelle nuda con i luoghi più intimi della sua “madrina” resero la principessa euforica, come ubriaca. Abbandonò ogni freno inibitore e si avventò con le mani su quei seni e sulla pancia che li sosteneva con le mani bramose di toccare.
Sotto di lei la sua farfalla gocciolava estro macchiando di umido la pelle del divano.

Quel silenzio indifferente e annoiato della fata, che spesso era stato causa di dolori d’amore nella giovane principessa, ora era benedetto.
La donna immobile si lasciava sballottare, tastare, annusare, senza dare segno di fastidio.
Alba aveva perso la testa … adesso era quasi pronta al passo decisivo: la vicinanza del suo viso e della bocca a quel seno generoso la invitava a prendere i capezzoli tra le labbra e a succhiarli con foga e passione.
La voce della Fata di Ferro arrivò pacata, ma decisa … in maniera del tutto inaspettata … come uno schiaffo sulle mani.
La matrona uscì all’improvviso dal suo torpore sibillino. Risorse e voltandosi verso Alba, la fissò con gli occhi scuri, ardenti come braci:
– Ma ti piace veramente quello che stai facendo? –
Alba sussultò. Ritirò la mano. Si irrigidì come se fosse stata colpita da un ceffone.
Nonostante la donna continuasse a rimanere immobile sul divano, con i seni fuori dall’abito stretto; nonostante l’orlo sottostante, sollecitato dai moti inarrestabili della ragazza, fosse salito fino a scoprire tutte le grandi cosce e perfino la mutandina bianca di cotone … fu la ragazza a sentirsi a messa a nudo.
Si sentì scoperta, in un gioco che follemente aveva pensato di poter occultare.
Si vergognò di avere approfittato … esagerato … usurpato.
Aveva invaso ogni giorno di più l’amicizia bonaria della fata, frugando sempre di più il suo corpo.
Quel giorno aveva di certo esagerato e all’improvviso provò su di se tutta la violenza della colpa della sua trasgressione.
Rimase impietrita mentre, improvvisamente sobria, dopo la sbornia di piacere, desiderava sprofondare, per non dover ammettere così spudoratamente la sua insana passione.
Il tempo si era fermato nel soggiorno … tutto sembrava tacere.
La Fata di Ferro impassibile come un’aguzzina scrutava l’anima di Alba, passandole attraverso gli occhi, chiari come l’acqua.
Poi finalmente sul suo viso si disegnò un leggero sorriso che odorava di panna montata.
Riprese la sua posizione comoda sul divano e lentamente cercò la mano di Alba, riportandosela al seno e accogliendola sui capezzoli cedevoli.
Appena la ragazza si sciolse dalla morsa della paura, poggiò la testa nuovamente sul braccio della fata. Allora lei l’attirò a sé fino a quando la bocca non si poggiò sul suo seno voglioso.
Mentre Alba succhiava e leccava in maniera inesperta, ma efficace, la fata le sussurrò all’orecchio:
– Tu lo sai che tutto questo è proibito. Saprai mantenere il segreto? –
Liberandosi la bocca bagnata di saliva, Alba promise con tutta l’anima:
– Non dirò mai niente a nessuno di quello che accade tra di noi … qui. Te lo giuro! –
La fata abbassò lo sguardo e le loro labbra si incontrarono. Le sue erano carnose e pronunciate e si schiusero alla curiosità della fanciulla.
Lei non sapeva bene come fare, ma il contatto fu inebriante. Un attimo dopo si ritrovò con la lingua di fronte a un succo oleoso e trasparente … era la saliva della donna. Passando da una bocca all’altra il liquido si abbassava di temperatura, portando una freschezza sconosciuta e nuova sulla sua lingua.
Non credeva di resistere a quel sapore senza svenire, ma si fece forza.
Dopo la saliva, più dolce del miele, arrivò la punta della lingua … nooo, non riusciva a credere che tutto questo stesse veramente succedendo.
Quella penetrazione tra le labbra era la cosa più intima e segreta che le fosse mai capitata.
Quando le due lingue si catturarono, Alba voleva piangere per l’emozione … non poteva sapere che quello era solo l’inizio.

Parte seconda

– Sto tanto bene con te, mi piace toccarti tutta e desidero da tanto che anche tu mi accarezzi. – disse Nicòle.
– Sei certa di volerlo? Desideri un contatto più intimo? – disse Flora, mentre erano abbracciate con le guance che si sfioravano.
– Si … lo desidero da mesi … voglio che mi tocchi anche tu! – poi aggiunse sussurrando – Lo so bene che mia madre non accetterebbe tutto questo, ma io non dirò mai niente. Io voglio essere solamente tua. –
Flora sorrise e si lasciò finalmente andare, come se si fosse finalmente sciolta da un legaccio che ne inibiva le emozioni. Finalmente era ora di raccogliere i frutti dei suoi maneggi e della sua tenacia.
La baciò ancora sulle labbra con complicità … e le sue mani iniziarono a muoversi.
Scivolarono sotto il grosso maglione e le cercarono le spalle e si saziarono di tutto il copro della giovane … dalle spalle scesero sui fianchi. Poi da sopra le calze scese alle natiche. Conobbe le sue gambe, per poi risalire, strisciando il polso sulla passera pelosa della ragazza, ma senza soggiornarvi … almeno per il momento.
Al contrario le carezze proseguirono di nuovo verso l’alto, rientrando sotto la maglia e raggiungendo i piccoli seni appuntiti e durissimi.
Arrivata all’aureola rosa si fermarono e Flora la fissò con un sorriso di sfida … aspettava un permesso che non le fu negato.
Allora sapientemente seppe pressare e tirare quei seni acerbi. Li circondava e li massaggiava, dopo averla baciata ancora; si diresse con la bocca sulla maglia, offrendo i capezzoli alla voracità delle sue labbra.
L’alito tiepido oltrepassava la lana, inondando la ragazza con un calore del tutto nuovo e inebriante.
Ma poi l’eccitazione della fanciulla divenne sogno. Quando con movimenti voluttuosi Flora fece scivolare verso l’alto la maglia e la canottiera leggera, il contatto delle sue labbra avvenne direttamente sui piccoli bottoncini rosa diventanti duri come la madreperla.
La punta calda della sua lingua sbatteva senza perdono dedicandosi ad un lungo martellare di piacere, mentre li teneva i capezzoli tra le labbra serrate e Nicòle infine conobbe il paradiso.
La ragazza aveva il ventre infuocato. Il desiderio la rimescolava tutta, non sapeva come, ma voleva da quella donna tutto ciò che era l’erotismo poteva offrire.
Nicòle non sapeva che quella danza era solo l’insieme dei preliminari.
Infatti qualche minuto dopo Flora chiuse la porta a doppia mandata e le prese una mano … scalze come ninfe dei boschi salirono al piano superiore dove c’era la camera da letto.
Flora la fece distendere delicatamente e poi si accovacciò sulla giovane, mettendosi a quattro zampe, mentre i seni sconfinati, precipitavano sul collo e sul petto di Nicòle.
– Tesoro – le disse – adesso puoi guardare e toccare … tutto. Non ti devi più trattenere. E’ da tanto che lo desideravo, piccola mia. – Si scostò una ciocca con le dita della mano – Finalmente … –
Allora Nicòle con un gesto liberatorio le aprì tutti i bottoni e lasciò che la sua veste scorresse dal suo corpo verso il pavimento, lasciandola finalmente nuda, nell’opulenza delle sue morbide forme: era tutta in mostra d’avanti ai suoi occhi vogliosi.

La ragazza cominciò a godere già con gli occhi. La possedette con lo sguardo, come un bambino che finalmente diventa padrone di un giocattolo che desidera da tempo.
Finalmente libera Nicòle cominciò ad accarezzare la donna, scoprendone prima i seni, poi gli enormi capezzoli scuri ed infine la pancia ed i fianchi.
Flora indossava ancora le mutandine bianche.
Curiosa di provare le dita di Nicòle frugarono sotto l’elastico, fino ad incontrare i peli scuri della figa gonfia di Flora.
I peletti erano pieni di goccioline; la stessa mutandina della donna era intrisa dei suoi umori.
Non sapeva se poteva osare, ma lo fece … per provare fin dove si poteva spingere in quella nuova frontiera della sensualità: con le dita cercò l’orlo e iniziò a sfilare l’intimo di Flora.
La donna si abbandonò a quel piacere … così la giovane, seguendo il suo corpo con le dita, ebbe l’occasione di esplorare tutta la sua carne, fino ai piedi nudi e caldi che tante volte aveva desiderato baciare.
Ora l’enorme Flora era tutta nuda e tutta sua: che piacere inebriante!
La donna matura godeva della passione che lei metteva nello scoprirla.
Come un dono d’amore Nicòle si offrì:
– Prendimi anche tu, Flora, scoprimi, guardami e tocca tutto ciò che desideri di me, il mio corpo ti appartiene. –
Lei fu bravissima: le sue mani le sfilavano i vestiti scorrendo sulla sua pelle giovanile e facendola vibrare, languidamente le sfilò le calze strappate facendole scorre all’infinito, sulle lunghe gambe da gazzella. Poi toccò alla maglietta: anche sfilarle quella, fu un atto delizioso, lento, eccitante.
Le dita leggere sfioravano i piccoli capezzoli turgidi della giovinetta, che reagivano autonomamente ad ogni sua singola carezza. Con fare materno sistemò la biancheria sul cuscino.
In poco tempo anche la ragazza venne completamente spogliata.
Per Nicòle, starle di fronte, era come volare: vedere il corpo di lei, tanto desiderato, la faceva sentire sospesa in uno stato inebriante mai provato prima.
Appena furono nude, fece si che essi si fondessero in un abbraccio totale, dove ogni centimetro di pelle veniva a contatto.
Distese sul letto le mani di Flora, immediatamente seguite dalle sue labbra, iniziarono quel viaggio passionale che mai più si sarebbe cancellato dai ricordi di Nicòle.
Le mani di Flora sul suo corpo erano come piccole scintille di lava incandescente. Scivolavano sulla pelle mentre le dita erano seguite dalle labbra che umide di fiato e di saliva facevano fumare la lava ardente, lasciando su quel corpo acerbo sensazioni fino allora sconosciute.
Quella scia umida, che evaporava per la febbre dell’amore, le procurava brividi eccitanti e incontrollabili.
Nicòle era come in trance. Viveva tutto questo, come se si trovasse in un’altra dimensione. Le sensazioni indescrivibili erano intense, violente, eppure ovattate: come se la sua mente le vivesse sotto l’effetto della più inebriante delle droghe.
Finalmente dopo il lungo peregrinare le dita della donna raggiunsero la piccola farfalla, che come fosse appena sorta dal bozzolo, se ne stava immobile e contrita, in attesa che la natura le insegnasse a schiudersi alla vita.
Ciò che sembrava l’apice insostenibile della goduria, si rivelò solo l’inizio del sentiero del piacere proibito in quell’accoppiamento innaturale.
La mano di Flora si dedicò al gioiellino della giovane Nicòle, carezzandola, confortandola … l’avvertiva di tenersi forte, perché l’affondo stava per giungere.
Infatti, pochi momenti dopo, la bocca carnosa discese implacabile, affamata di quel fiore.
La ghermì, violentandone le ali piene di rugiada, spaccandole fino al vertice con la lingua possente e dura.
La bocca premeva. La lingua penetrava inarrestabile, come un vampiro assetato di miele. Flora penetrò nel sacello bagnato ed al tempo stesso infuocato dalla passione.
E cominciò a suggerne il nettare, filtrandolo tra i piccoli peli biondi di Nicòle.
Un suono osceno si sprigionava da quella scena erotica.
La dolcezza aveva lasciato il posto all’ingordigia.
Un fulmine elettrico, dolce, luminoso, squassante, partì dal ventre di Nicòle e percorrendo ogni suo muscolo più recondito, le raggiunse il cervello, facendola sobbalzare di piacere.
Un piacere mai provato, sconosciuto perfino nelle notti solitarie in cui da sola si martoriava la fighetta bramosa.
Flora le stette addosso con la stessa forza di un maschio che vuol possiede la preda conquistata. Pur senza deflorarla la fece sua ripetutamente, forse in maniera ancora più veemente, marchiandola per sempre col suo peso e con le lettere infuocate del suo desiderio incontenibile.
Gli orgasmi di Nicòle iniziarono pochi minuti dopo quelle ondate di carne, che si squassavano sulla sua riva, con la forza di un fortunale.
Non fu possibile contarli, così come poi non sarebbe stato possibile contare i giorni di amore e di sesso che avrebbero vissuto in seguito. Tutte quelle passate insieme, le avrebbero in amanti indivisibili.
Quando Nicòle cercò di ricambiare dirigendo la bocca verso la figa matura e accogliente della donna, Flora non le permise di raggiungere il suo spacco.
La ragazza si dovette accontentare di poggiarle la guancia sul ventre, cercando di aspirare, vicinissima all’intimità della donna tutto l’odore che quella figa eccitata sprigionava.
Poi le accarezzò la mano e dolcemente la indirizzo verso il centro del suo piacere, le permise di avventurarsi dentro di lei.
Nicòle cominciò a scavare … a rovistare … tentò la figa grossa con tutte le dita, affondando spesso tra il pelo muschiato.
Infilò fino a quattro delle sue dita nel buco rosso della donna e una volta dentro le arcuava, le uncinava, tirando e spingendo nell’antro lussurioso, fino all’esplosione di Flora.
Quando Nicòle capì che la sua istitutrice stava avendo per raggiungere l’orgasmo, cercò con l’altra mano la sua passera passera e si penetrò a sua volta.
Un orgasmo liquido e sonoro la fece sciogliere … come se svenisse in un lago di piacere.
Per la giovane questa fu la prima vera esperienza sessuale, tutta al femminile.
Essa andava oltre il semplice sesso … sfociava nell’emozione: un’emozione che mai nella sua vita sarebbe stata eguagliata.
Per quanto piacere avrebbe mai assaporato, nessuna successiva relazione avrebbe retto il paragone con quella prima, indelebile, avventura.
Quel paio d’ore intense e travolgenti restarono impresse nei suoi ricordi ad un livello di estasi ineguagliabile.

L’estate torrida scaldava i sensi, mentre i corpi seminudi delle due amanti, la giovane principessa e la fata matura, si mostravano e si avvinghiavano, schiave dello stesso desiderio.
Anche l’autunno, con la sua dolce pacatezza, invitava i loro corpi a scrutarsi e a possedersi, approfittando di ogni occasione.
L’inverno freddo le teneva vicine a , pelle contro pelle, sotto un’unica coperta profumata di umori.
A primavera le loro farfalle fiorivano ed erano eccitate più che mai: il momento migliore per affondare le bocche nel sesso dell’altra, manipolando il bottoncino rosa, fino a quando dalla corolla, l’estroso liquido, intensamente profumato e dolce come il miele, si decideva a sgorgare tra le labbra vogliose.
E così, mescolandosi l’una nell’altra, in un amalgama di sesso e passione, le donne passarono le stagioni di quell’amore avvincente e perverso.
Alba cresceva e imparava.
La Fata di Ferro provava un intenso languore, facendole fare una parte dominante rispetto al possesso del suo corpo maturo.
La principessa oltre ad amarla si divertiva a giocare con lei e a tiranneggiarla.
Spesso la fata non desiderava nulla da lei, ma si accontentava di inginocchiarsi ai piedi del grosso divano, facendole da serva, come una schiava.
Il suo omaggio servile partiva dai piedi di Alba.
Poi la massaggiava, la leccava fino all’orgasmo, lasciandola riposare sotto il suo abbraccio materno.
Pian piano le faceva scoprire il piacere in tutte le sue possibili sfumature.
Prima concedette tutto di sé … poi iniziò anche ad cercare il gusto del possesso.
Le insegnò tutti i giochi e le furbizie; le permise di usare un fallo, uguale a quello degli uomini, per controllare come si faceva a penetrare nei fori reconditi di una donna.
La principessa giocava e sperimentava.
La donna godeva dell’ingenuità di Alba, ogni giorno più provata, più curiosa, più smaliziata nella ricerca sfrenata della passione.
La fata prendeva piacere ormai dalla sua discepola. Da tempo le aveva permesso di leccare i suoi orifizi e di suggere i suoi orgasmi.
Di notte poi la fata, più matura e scaltra nel sesso, da sola nel letto, mentre ascoltava il frinire delle cicale, si arrovellava cercando nuove perversioni per poterne godere l’indomani. Non le sembrava vero di poter coronare i suoi sogni più inconfessabili, servendosi di quel corpo tenero e giovane e di quella mente fertile e incantata.
L’aveva tenuta vergine fino ad allora, ma un giorno decise di sferrare il suo incantesimo erotico più potente.
Nel frattempo i genitori della principessa, ignari di quanto accadeva, si concentravano sulle loro vite.. La regina si fidava ciecamente dell’amicizia che la legava alla fata. Anche se intuiva che in quella casa di marzapane avvenisse qualcosa di più che il solo sorbire del tè con i biscotti.
Ma tutto era tranquillo grazie a quel rapporto tanto speciale. L’amica era dolce e paziente, la principessa veniva su felice e robusta e lei era più libera e spensierata che mai.
Andava bene così. Indagare sarebbe stato inutile ed anche impegnativo.

– Aahhh! Ahaaa! – sospirava languidamente Nicòle mentre se ne stava china sul divano.
Le braccia incrociate sotto la testa che veniva schiacciata contro la spalliera ad ogni pressione.
Le ginocchia a terra, poggiate su un plaid, erano divaricate.
Il culetto le faceva ancora male. Era solo da poco che lo prendeva nel piccolo buco dell’ano, ma non si sottraeva.
Aveva fatto tanto per convincere Flora a incularla, dopo che lei, la piccola Nicòle, le martoriava da anni ogni foro con quel membro di gomma, grosso e spesso, che tanto le piaceva indossare; lo montava come una mutandina, grazie alla cintura di pelle su cui era innestato … poi abusava della sua maestra senza pietà.
Flora prendeva tutto da lei, senza battere ciglio, ma diventava attenta e severa quando si trattava di usare il corpo di Nicòle per il suo piacere.
Così ci aveva impiegato del tempo per farsi leccare la figa fino a venirle copiosamente in bocca e addirittura più di un anno per possederla da dietro.
Ecco perché Nicòle subiva senza lamentarsi le penetrazioni costanti e feroci della sua matrona.
Il grosso fallo penetrava e stantuffava tra le natiche, mentre con la mano libera, Flora le picchiettava la fessura … in breve sarebbe arrivato l’orgasmo tanto atteso.
Quando finirono di fare, abbracciate sul divano e sfinite dalle emozioni, Nicòle manifestò tutto il suo disappunto:
– Ma insomma … è bellissimo farlo, ma perché non posso averlo anche davanti? Sono una donna ormai. –
Flora sogghignava divertita: e le rimostranze della ragazza divenivano sempre più accese …
– Piccola mia, ma tu ti senti pronta? Sei decisa? – le chiese inutilmente – Lo sai che la verginità è qualcosa che una volta perduta non potrà mai tornare! – continuò materna – Se la perdi non puoi più riacquistarla? Ci hai pensato bene? Lo vuoi davvero?–
– Uff … ancora con queste sciocche storie? – sbottò Nicòle – io ti amo e voglio farlo con te. Cosa dici sempre? Va fatto con amore! – alzò la voce – Ecco io lo voglio fare … con amore e con te. Punto! –
Flora le accarezzò i capelli e la fissò negli occhi intensamente; in quei momenti sembrava volesse scavare dentro la giovane, per capire davvero cosa provasse.
Poi con occhio scaltro disse: – E va bene, ma ti ci vuole un uomo … un ragazzo! Non esiste perdere la verginità con un cazzo di gomma. Dovrà essere un evento … un piacere indimenticabile. – poi rivolta a Nicòle – Ma pensaci bene … non ce l’hai un bel ragazzo che ti corteggia? Fallo con lui, no? – disse con malcelata furbizia. Sapeva perfettamente che la giovane dipendeva totalmente da lei, anima e corpo.
– No … non mi interessano! Non li voglio. Voglio essere tua: stop! –
– Vai a fare la doccia, amore … dopo ti faccio vedere una cosa. –
Ma poi telefonò la madre di Nicòle per portarla con sé per una commissione e il discorso si rimase in sospeso.

Pochi giorni dopo, Flora, subito dopo colazione invitò Nicòle a sedersi sul divano per farle vedere qualcosa alla TV. Fece partire un filmato e poi si sedette al fianco di lei senza dire altro.
Dopo poche, inutili scene, la ragazza si rese conto che quello che stava guardando era un film porno.
Tutte le scene si svolgevano tra tre persone, due donne e un uomo; non sembravano attori professionisti, ma forse era solo un trucco.
Flora cercò di mantenere un atteggiamento rilassato e distante, mentre cercava di attirare l’interesse della ragazza sulle varie operazioni possibili tra i partecipanti.
Nicòle guardava estasiata, attratta soprattutto dalla vista di un cazzo vero e di notevoli dimensioni che passava da una donna all’altra.
L’uomo venne per ben tre volte nelle varie scene … anche lo sperma interessò molto la ragazza eccitata.
– Ti è mai capitato di berlo? – chiese ingenuamente a Flora.
Lei sorrise. – Ma certo – disse!
– E com’è? – chiese Nicòle curiosa.
– Com’è … com’è? E’ particolare. Non ha un sapore speciale, però è particolare. –
continuò – è caldo e odoroso. Lo senti quando sgorga in bocca. Lo senti uscire quando succhi … è molto eccitante. Anche addosso o dentro il corpo è … piacere … liquido. –
– Più buono della nostra roba? – incalzò la fanciulla – per esempio a me piace molto succhiare quando vieni tu. –
– E’ diverso, te lo ripeto … –
Mentre conversavano e guardavano, ognuna per sé, iniziarono a masturbarsi, come un gioco simmetrico da praticare contemporaneamente.
– Il prossimo week end – disse Flora con la voce ormai provata dall’emozione – chiedi a tua madre il permesso di stare con me. Inventa una scusa. Io ti farò conoscere un mio amico. Che ne dici? –
Nicòle spinse più forte le dita nella figa, mentre con l’altra mano si teneva scostata la mutandina.
– Si … sarebbe meraviglioso … voglio provare … – la guardò complice e dolce – ti prego! –
Mentre il film arrivava alle ultime scene orgiastiche, vennero simultaneamente, ma ognuna per sé, come fossero sole … era un gioco che le faceva godere in maniera speciale, tra i tanti che avevano sperimentato.

Parte terza

Il sabato si incontrarono al centro commerciale.
Non era raro che Nicòle, per un motivo o per un altro passasse qualche giorno insieme a Flora. Qualche volta erano anche state in viaggio insieme.
La madre della ragazza, anzi, fu felice della proposta. Ne avrebbe approfittato per un breve viaggio al sud, per controllare la casa al mare, abbandonata da mesi.
Tra le chiacchiere e i saluti, Flora già pregustava ciò che sarebbe accaduto, mentre una sensazione di calda eccitazione già si impadroniva della sua vagina … stava vivendo il periodo più entusiasmante della sua esistenza.
Quella posizione di istitutrice, la totale disponibilità della giovanetta e la sua versatilità sessuale la rendevano costantemente arrapata e desiderosa.
La fortuna le aveva fatto incontrare in quel periodo anche un ragazzo, quasi dieci anni più giovane, leggermente tonto, ma grande chiavatore.
Era uno studente e abitava in una stanza presa in fitto presso una famiglia di anziani a pochi isolati dalla sua villetta.
Una volta gli aveva dato un passaggio e successivamente gli aveva chiesto qualche favore: lavoretti in casa di poco conto e per questi lavori gli riconosceva una piccola paga e qualche regalo.
Una sera lo aveva invitato a restare per vedere un film con lei sul divano.
Da allora tra lei e Marco, così si chiamava il giovane, si era instaurato un bel rapporto di scopate occasionali, senza coinvolgimenti sentimentali.
Ogni tanto, specialmente all’inizio del lungo rapporto con Nicòle, dopo gli estenuanti pomeriggi di toccamenti e di eccitazione trattenuta nella pancia, chiamava il ragazzo non appena la fanciulla era andata via. Poi lo aggrediva, letteralmente, soffocandolo con la sua voglia di venire … ripetutamente … il più presto possibile.
Si sfogava sul suo cazzo giovane, sempre duro e sempre in tiro.
Il giovane non provava particolari sentimenti per quella donna più grande di lui, ma era la prima vera avventura, dopo le classiche esperienze da fidanzatino diciottenne.
Si riteneva molto fortunato. Solo e lontano da casa aver trovato un’amica di quel calibro gli permetteva una vita felice e spensierata, potendo pensare a studiare senza grilli per la testa.
Egli non era un “superfigo” e le ragazze all’università non facevano la fila per lui … trovarsi una donna avrebbe richiesto molto di impegno.
Poi magari si sarebbe ritrovato innamorato e disarmato dinnanzi a quel sentimento, perdendo di vista la sua carriera universitaria.
Invece questo rapporto appagante e piacevole gli permetteva di avere libertà e sesso con poca spesa.
Ecco perché Marco a Flora non diceva mai di no.
A mezzogiorno come d’accordo il ragazzo si recò all’appuntamento, davanti al McDonald’s. Anche quello era un grande vantaggio; la donna matura era sempre generosa con lui. Ricambiava tutti i suoi favori, invitandolo spesso a colazione o a cena, altre volte al cinema e puntualmente pagava sempre lei.

Intanto, nel parcheggio poco distante, le donne si salutavano. La madre di Nicòle partì con l’auto, mentre lei insieme a Flora si incamminarono verso il McDonald’s. Le donne avanzavano decise senza parlare, l’una accanto all’altra. Le espressioni del loro viso non tradivano l’emozione che faceva battere il cuore di entrambe, per motivi diversi.
Quando incontrarono Marco, poco dopo la ragazza ricordò di averlo visto qualche volta mentre andava o veniva dalla casa di Flora. La donna le aveva detto che era uno studente che a volte le faceva delle commissioni.
Mentre si salutava e scambiavano qualche parola, Nicòle cercò di valutare chi si trovava di fronte e soprattutto se era lui il prescelto da Flora sulla cui verga immolare la propria verginità.
In effetti il ragazzo non era quello che si potrebbe definire il classico principe azzurro: lievemente molle nei modi aveva un fisico tarchiato e le mani delicate di chi non ha mai lavorato nella vita.
Non era né simpatico, né brillante … nonostante questo una strana sensazione cominciò a farsi largo nel plesso solare di Nicòle.
Mentre sceglievano il menù per sgranocchiare rapidamente qualcosa e poi andare a casa, la ragazza era completamente assente e fantasticava su quella situazione incredibile … stava parlando del più e del meno con uno sconosciuto, eppure probabilmente, quello di lì a qualche ora sarebbe penetrato nel suo corpo, più intimamente di quanto lo avesse mai fatto chiunque altro.
Mentre fissava Marco in modo distaccato, immaginava quello stesso viso, a pochi centimetri dal suo mentre la scopava … gli guardò la bocca: probabilmente di li a poco avrebbe succhiato la sua lingua; contorcendosi sulla panca, pensò a come doveva essere il suo cazzo, soprattutto perché, ne era certa, fra non molto gli avrebbe dovuto fare un pompino.

Si erano fatte le due quando tutti insieme entrarono nell’appartamento di Flora. Si misero rapidamente in libertà.
Mentre si rilassavano in salotto, Flora offrì ai ragazzi dei cioccolatini al liquore, poi sedendosi in mezzo a loro iniziò a parlare per rompere il ghiaccio.
– Allora – disse – avete simpatizzato? Voi che siete giovani dovreste avere molte cose in comune … no? – poi rivolta a Nicòle – Ti va di mettere un po’ di musica? –
La ragazza scelse un CD dei Queen, ma prima di inserirlo nell’apparecchio chiese a Marco se gli piacevano. Lui approvò senza riserve; pochi istanti dopo la musica, a basso volume, invase l’atmosfera.
– Vieni Nicòle – la chiamò Flora dal divano – Vuoi provare a baciare Marco? E’ molto bravo sai? –
Nicòle arrossì, ma in maniera abbastanza passiva obbedì sedendosi vicino al ragazzo. Anche lui era abbastanza impacciato nei movimenti, ma per non deludere Flora si avvicinò a Nicòle in modo meccanico.
Si sollevò col busto di quel tanto che gli permetteva di circondare con il braccio i fianchi di lei, mentre accostava la guancia ben rasata al volto di Nicòle.
La giovane intanto era tesa e rigida, come uno stoccafisso. La disinvoltura erotica e sessuale raggiunta con Flora era completamente scomparsa; ora che si trovava in una situazione del tutto nuova ed in presenza di un estraneo si sentiva come una scolaretta il primo giorno di scuola.
Nonostante questo accettò che le labbra di Marco si posassero sulle sue: erano completamente nuove … diverse da quelle di una donna. Erano spesse e dure e cercavano la sua bocca con meno dolcezza e più decisione.
Trascorsero pochi attimi e Marco le apriva le labbra con la lingua grossa e bagnata. Non era spiacevole, ma Nicòle si irrigidì ancora di più.
A stemperare la tensione pensò la bella Flora, che andò a piazzarsi in ginocchio tra i due ragazzi, rivolta verso entrambi.
Accostandosi sussurrò:
– Ho capito, se non interviene la “vecchia” zia non riuscite a lasciarvi andare del tutto. –
Sorrise dolcemente e li abbracciò tenendoli entrambi per le spalle. Poi con delicata sapienza accostò la sua bocca alle loro, che se ne stavano immobili, non sapendo bene come comportarsi. Con una delicatezza perversa, che mai Nicòle aveva riscontrato, Flora si abbandonò alla danza del piacere, piroettando tra le due bocche fresche di rugiada con delle lascive spennellate di lingua.
Poggiare la sua bocca viziosa sulle tenere labbra dei due ragazzi le dava vigore e le insidiava la mente come un sonetto perverso dell’Aretino.
Le labbra dei due ragazzi, sopraffatte dalla confidenza che avevano con le sue, si schiusero come petali e riconobbero subito la loro amante appassionata.
Il bacio a tre durò un tempo infinitamente lungo. La loro saliva si fuse stemperando ogni tensione e facendo deporre ogni indugio.
Il cazzo turgido di Marcò si gonfiò, trattenuto dai suoi Jeans. La passerina di Nicòle provò i primi accenni di calore e la ragazza si sciolse nell’abbraccio della sua istitutrice.
Poi Flora si spostò di lato per sedersi al fianco di Marco, mentre Nicòle guardava curiosa, la donna adulta iniziò ad armeggiare, esperta, con la cintura e la lampo del giovane amico.
Le dita di Flora erano curatissime e lo smalto rosso scuro, scelto per quel giorno, spiccava sul chiarore del suo incarnato.
Scavava lenta e decisa in quel pantalone, rendendo la caccia eccitante e passionale. Alla fine vinse e dai boxer grigi di maglina fece sbucare una nerchia decisa, grossa e gonfia, accompagnata dalle due palle scure, trattenute nello scroto.
Intorno al cazzo una corona di peli faceva da corolla.
Nicòle trattenne il fiato … aveva già visto dei cazzi, nei filmini che Flora aveva proiettato a volte. Ma avere il cazzo di Marco, vivo e presente, a portata di mano le diede una sensazione nuova ed eccitante. Flora fingeva di dedicarsi al pene di Marco, come se ignorasse la sua amante, ma non era così: in realtà ogni mossa, ogni ostentazione di quel membro, che carezzava e ossessionava con le dita, era volta a favore del piacere di Nicòle.
Con quello stesso spirito, aiutò il giovane a mettersi in piedi.
Marco era troppo eccitato per provare una qualsiasi vergogna a esibirsi anche davanti a Nicòle, al contrario, la ragazzina che poche ore prima lo aveva interessato ben poco, viste le forme acerbe e la timidezza del comportamento, adesso lo eccitava:
Si sentì un maschio dominante, mentre quegli occhi di cerbiatta, grandi e profondi, non riuscivano a staccarsi dai suoi genitali.
A buttare legna sul fuoco ci pensò Flora che con voce roca e sensuale sussurrò rivolta alla ragazza: – Libera il cazzo di Marco, tesoro, tira giù i suoi pantaloni … dai. –
Nicòle non si rifiutò.
Avvicinandosi ai genitali di Marco, non poté fare a meno di prendere confidenza con questi ultimi e con lo sguardo ipnotizzato dal grosso “fungo” del giovane fu pervasa dall’odore umido che sprigionava dalla pelle e dai peli delle sue zone erogene.
Per non perdere il controllo si dedicò, non senza impaccio, ad abbassare i jeans del giovane. Per tirarli via dovette togliergli le scarpe e poi sfilare le gambe strette del pantalone, passando con le mani sulle cosce robuste e muscolose coperte di peli.
Lui rimase con le sole calze bianche di cotone.
Intanto Flora si era sbottonata la camicetta e aveva fatto sì che i due grossi seni scavalcassero il reggipetto, offrendoli tesi con i capezzoli duri alla bocca di lui.
Marco sempre più arrapato cominciò a mungere quelle tette spropositate, succhiando tutto fino all’aureola scura e larga.
Con la mano libera Flora trascinò con volitiva decisione Nicòle sul divano, la tirava per il braccio per vincere ogni sua riluttanza. Ora si trovava con il volto a pochi millimetri dal pene, la guancia poggiava sull’inguine bollente di Marco e le narici erano impregnate di un profumo nuovo e sconosciuto: era l’odore del cazzo.
Nicòle studiò attentamente quell’immagine prima di trovare il coraggio e la forza di saggiarne la consistenza al tatto.
L’affare del giovane era molto bello a vedersi, era più o meno del diametro di un grosso cetriolo. Non era lunghissimo. Stringendolo nel palmo della mano ne restava fuori, svettante, quasi una metà.
La testa del cazzo, ora che era rigido, era completamente libera dal prepuzio. Si distaccava dal tronco attraverso due profondi solchi laterali che sembravano tagliati come branchie, forse per questo, tra i vari nomi dati al membro maschile, da qualche parte veniva chiamato anche: pesce.
Ma la sua contemplazione platonica venne spezzata dalla crudezza dei gesti che seguirono.
Marco, incapace di resistere oltre, aveva abbassato la mano virile dietro la nuca della povera Nicòle e senza cerimonie aveva attratto la ragazza verso il suo cazzo.
Incredibilmente la bocca di lei non obbedì all’intelligenza ma all’istinto sessuale e senza volerlo si schiuse per prenderlo in bocca.
Liscio come la seta, di una consistenza carnosa ed eccitante, il glande penetrò facilmente tra le labbra di Nicòle, venendo a contatto con la piccola lingua nervosa.
I movimenti e le scelte non erano suoi … si rese conto di quanto fosse naturale fare un pompino.
Marco con fermezza premette ancora le dita tra i suoi capelli e la spinse. Per la prima volta la ragazza prese un cazzo tutto in bocca. Si accorse di essere arrivata con le labbra fino ai peli di lui, mentre il naso non riusciva più a prendere aria, per la pressione del membro nella gola, la ragazza ebbe un attimo di panico e si ritrasse, per ritrovare la capacità di respirare.
Ma il piacere di quel gonfiore in bocca era troppo intenso, per rinunciare, così fu lei stessa che fece la giusta pressione per proseguire nella pompa.
Una decina di affondo per prendere confidenza e dimestichezza … rapidamente la ragazza diventò più padrona della situazione.
Schiuse gli occhi e si accorse che Flora si era abbassata, arrivando col viso alla sua altezza. La ragazza capì che era affamata di cazzo e, con maestria, raggiunse l’asta con la destra, porgendola alla sua “madrina”, che prontamente iniziò il suo bocchino.
Marcò era già in visibilio, le gambe aperte sul divano e il cazzo distribuito tra le due beltà.
Non aveva mai fatto sesso con due donne e cominciò a capire quanto sublime fosse stata l’offerta di Flora.
Essere conteso tra due stupende creature, oltre alla sensualità del rapporto, sprigionava tutta una serie di sensazioni uniche, delicate e rare.
Intanto, Flora restituì il cazzo alla bocca di Nicòle e, abbassandosi di qualche centimetro, prese in bocca le palle: le strinse e le succhiò fino alle soglie del dolore, facendo sussultare il ragazzo, incastrato sul divano in balia di quelle due bocche assetate e vogliose.
Le donne si ritrovarono poi col cazzo tra le labbra di entrambe. Quale occasione migliore per carezzare con la lingua il glande e allo stesso tempo baciarsi con passione.
Goccioline di smegma fuoriuscivano dal prepuzio di Marco, eccitato oltre misura, e le femmine prontamente se ne impadronivano passandoselo tra le lingue infuocate.
Ormai era una gara a chi delle due prendesse il cazzo del giovane più profondamente in bocca, a chi lo facesse sussultare di più con succhiate e leccate.
I suoni che provenivano dalle due bocche erano umidi, i sospiri affannosi per lo sforzo di ingurgitare il pene fino all’estremità.
Le mani delle donne viaggiavano sul corpo seminudo di Marco, cercandogli ogni parte per prodigarsi in carezze eccitate. Gli toccavano i capezzoli, il collo e le orecchie … Flora, più navigata, gli cercò l’ano e con il dito puntuto lo penetrò, facendogli male.
Ma l’effetto voluto fu lo stesso. Marco si inarcò verso l’alto e chiavò il membro ancora più profondamente in bocca a Nicòle, che indietreggiò senza mollarlo.
Guardare la scena era da svenire per il ragazzo. Le due bocche erano diverse, le vedeva e le sentiva. Le labbra di Flora erano grosse e carnose, quelle della ragazza sottili e delicate, anche il pompaggio era diverso nell’essenza … così come era diverso il ben di dio che si offriva alle mani di Marco, mentre languido carezzava quei due corpi stupendi.
Le ragazze non erano spogliate, ma discinte, e lui trovava facile, rinvenire le tette così diverse tra loro, le natiche, i fianchi, fino a spingersi nell’intimità delle loro mutandine, per saggiare la sensazione muschiata del loro pelo umidiccio.
– Vieni, amore mio – disse Flora prendendo Nicòle per mano – fai sentire a marco come sei buona! – la giovinetta salì in piedi sul divano, guidata dall’adulta: mettendosi di culo a Marco, si abbassò in avanti tenendosi con le mani sulle ginocchia di lui.
Flora e Marco le tolsero le mutandine, lasciandole le calze chiare.
Marco si spostò in avanti col viso e si avventò sulla figa verginale della ragazza, mai aveva toccato figa dalle grandi labbra più sottili ed elastiche, per aprirle non gli bastò la forza della lingua, ma si dovette aiutare con le dita, per affondare le labbra in quel frutto proibito dal sapore fragrante e intenso.
Nicòle si sentiva esposta e profanata nella stanza illuminata dalla luce potente del meriggio, sapeva di essere completamente in vista … scoperta.
Flora intanto cercava di farla rilassare tra le sue braccia e la stringeva al petto e la baciava in bocca con passione, mentre Marco cercava di farle raggiungere il primo orgasmo leccandole il clitoride appuntito.
Poi la donna fece un movimento che la ragazza non si aspettava, ma probabilmente in quei momenti era troppo avida per pensare a lei.
Flora, già priva delle mutande, indossando solo delle calze nere autoreggenti che le superavano di poco le ginocchia, si tirò su la gonna, come se dovesse far pipì. Invece anche lei voltata si insinuò, arcuandosi agilmente sotto Nicòle, che fu costretta a mollare l’appiglio sulle ginocchia di Marco.
Con mossa decisa e rapida, quasi alla cieca, Flora cercò e agguantò il cazzo di Marco, che oscillava libero a mezz’aria e si introdusse da sola il glande in vagina … un attimo dopo, strusciandosi con le grandi labbra sull’inguine del giovane, aveva fatto sparire il cazzo completamente nella figa.
Marco era alla mercé delle due donne.
Nicòle non voleva sottrarsi a quel rito orgiastico, egoisticamente non voleva cedere l’uomo alla sua maestra.
Anzi incurante degli sforzi che lei faceva per chiavarsi il ragazzo che aveva appena montato, si appoggiò sulle spalle di lei per non perdere l’equilibrio.
Intanto la sua figa era talmente bagnata che la pressione sul volto del ragazzo gli provocava quasi un annegamento nel succo chiaro della sua fighetta bionda.
Senza essere d’accordo, per simpatia alchemica, le due donne vennero contemporaneamente: mentre l’orgasmo arrivava si ricordarono dell’amore che le legava, allora Nicòle si affacciò su Flora, che volse il viso a lei. Si scambiarono le lingue salmastre, mentre sborravano spumosamente i loro succhi su Marco.
Poco dopo ritornarono sfinite accanto a lui sul divano.
Il tempo di riprendersi e rifiatare … poi Marco fu addosso a Nicòle per succhiarle i seni, ormai scoperti. I piccoli capezzoli rosei lo eccitavano col loro senso di acerbo e proibito.
La ragazza lo lasciò fare, mentre Flora, approfittando del fatto che il ragazzo era ancora seduto col pene eretto, iniziò a masturbarlo con la sinistra.
Appena anche lui apparve sazio, si adagiò con le spalle sul divano, rilassandosi totalmente. La donna adulta voleva insegnare ancora qualcosa alla sua ancella e la chiamò a sé: – Vieni amore … vieni a vedere come si maneggia un cazzo. – Nicòle non se lo fece ripetere due volte e curiosa si avvicinò alla zona pelvica di Marco. Il relativo relax del momento le diede l’opportunità di studiare a fondo il grosso pene …
– Guarda bene – disse Flora – questo movimento è per farlo venire – e intanto con la mano andava su e giù circondando l’asta con le dita.
– Ti devi servire della pelle del prepuzio. per far scorrere la mano senza creare attrito. – spiegò sibilando – più stringi e acceleri, più presto lo vedrai schizzare. –
Infatti lei si fermò.
– Per dargli piacere e farlo sognare devi invece carezzarlo delicatamente con il pollice sotto la testa … guarda, così! – La ragazza osservò attenta, mentre il dito di Flora si muoveva nell’incavo sotto il pene. L’altra mano di Flora invece si chiuse a coppa sui coglioni in bella mostra – Ecco con questa carezza gli scaldi le palle … anche questo precede una sborrata abbondante e solenne. – La voce roca e libidinosa della donna si scontrava con la finta professionalità con cui descriveva le sue azioni.
Nicòle guardava estatica e senza volerlo iniziò a masturbarsi.
La scena continuò finché Flora, impazzita dalla goduria che l’attendeva, disse alla giovane: – Ecco avvicinati adesso … preparati al tuo primo bocchino vero. – la fissò complice – non ritrarti, bevi tutto, capito? E’ il tuo battesimo del sesso … va bene? –
Nicòle fece cenno di sì, mentre prendeva il glande tra le labbra schiuse.
– Masturbalo tu stessa, così imparerai a dosare la pressione della mano … –
La giovinetta non se lo fece ripetere. Prese il cazzo tra le dita, circondandolo col pollice opposto alle altre dita, strinse forte e viaggiò veloce.
Il cambio di mano fece perdere la testa a Marco: aveva fatto di tutto per durare il più a lungo possibile … ogni espediente era stato ormai adoperato. Era in gioco quasi da un’ora, ma adesso la mano piccola e inesperta di Nicòle con i suoi movimenti stizzosi e irregolari lo trascinarono all’acme come un fiume in piena che non potendone più straripa ed inonda tutto quello che incontra.
L’obbedienza della ragazza era incredibile. Eseguiva militarmente gli ordini della sua padrona.
Per quanto Marco si inarcava e serpeggiava nel corpo eccitato, Nicòle non gli mollava il piffero e mentre lo segava seguiva con la bocca socchiusa ogni performance del glande rosso e grosso che teneva tra le labbra.
Con un salto e un grido inarrestabile, Marco iniziò a sborrare, affondando le dita nel divano.
Flora intanto, mentre a sua volta si teneva due dita nella fica fradicia di liquidi, con la destra fu lesta a bloccare la nuca della giovane, spingendola verso il cazzo del giovane.
La sborra era troppa perché Nicòle riuscisse a gestirla, essendo ancora troppo impreparata e ingenua per gestire un flusso tanto copioso. Fu inondata.
Un senso di soffocamento la fece tossire forte.
Lo sperma leggermente salato e aromatico trovò lo spazio per uscire dalle narici della ragazza e dai lati delle labbra, circondandola di spruzzi biancastri.
Nicòle non capì nemmeno se le piaceva o no … solo dopo quella spruzzata traumatica si rese conto di quanto era desiderabile bere ancora quel nettare d’amore.
Una volta calmati, si rilassarono e si distrassero, aspettando la sera.

Flora sfornò degli stuzzichini di pasta sfoglia e un’insalatona con gamberetti, che non era niente male.
Senza essersi detto nulla i due ragazzi avevano continuato ad indossare solo la parte superiore dei loro vestiti: camicia a quadroni, sportiva per Marco, maglietta aperta davanti e senza reggiseno per Nicòle. La ragazza inoltre si era lasciato addosso le sue calze nonostante fossero sfilate.
Aveva cambiate le mutandine, indossandone un paio nere, a perizoma, che le aveva regalato Flora.
La donna invece indossava uno dei suoi camici pieni di colore, completamente sbottonato sul davanti, cosicché si vedeva perfettamente che indossava l’intimo nero, ma senza mutandine. Infatti spiccava il triangolo scuro della sua figa carnosa.

Il cazzo di Marco, come una cartina di tornasole, scandiva i momenti di maggior eccitazione del trio; l’asta indicava perfettamente la tensione erotica del momento rizzandosi di più o di meno, spesso mettendosi in bella mostra sotto la camicia.

Con una disinvoltura che suonava grottesca, verso le dieci di sera si ritirarono tutti nella camera da letto di Flora.
La donna adulta fece accomodare nel bagno prima l’una poi l’altro dei ragazzi, ad entrambi fece personalmente il bidet con l’acqua tiepida, indugiando sui genitali … forse pregustando la notte d’amore che li attendeva.
Una volta a letto riposarono. Flora si sistemò in mezzo ai due, ma sotto le lenzuola, pur sonnecchiando, si toccarono.
Molte volte si baciarono in bocca, ogni tanto qualcuno scompariva alla vista dedicandosi a un assaggio dei genitali altrui.
Dormirono nudi abbracciati, gustandosi il rapporto carnale e profondo.
L’atmosfera si riempiva di ora in ora di tensione sempre crescente.
Tra veglia e sonno, Nicòle, non riusciva a non togliersi dalla testa l’idea del cazzone di Marco. Così mentre Flora se lo scopava … non vedeva l’ora di donare la sua verginità a quel giovane estraneo, ma eccitante.

Verso le cinque, Marco si svegliò completamente per andare a pisciare.
Il suo pene era perennemente duro, ormai, come se quello fosse il suo stato naturale.
Voleva la ragazza … ora!
Aveva perduto il distacco iniziale. Ora era deciso e aveva voglia di deflorare la giovane, come un toro da monta.
Quando tornò presso il lettone, Flora dormiva ancora.
Lui si accostò a Nicòle. Poi la scosse lievemente sulla spalla: – Vieni – le disse senza vergogna – ti voglio! –
Come una schiava consenziente che accetta il suo destino, la ragazza scese dal letto e si lasciò portare per mano dal giovane col cazzo eretto.
La portò nella camera di fianco, lo studiolo di Flora.
Marco accese una abat-jour coperta di damasco dorato.
La condusse al centro della stanzetta, facendole cenno di inginocchiarsi. Di certo desiderava ancora che lo prendesse in bocca. Il ricordo del sapore dello sperma agì come una droga, dandole immediato calore ai genitali.
Marco si affrettò a far precipitare il suo membro tra le labbra di lei … segno che ci stava pensando già da un po’.
Nicòle non lo rifiutò, anzi fu felice di trovarlo abbastanza eccitato per poter poi provare la sensazione di portarlo all’estremo della durezza con il suo lavorio orale.
Quando il giovane cominciò ad accusare il piacere nell’essere stantuffato, uscì dalla sua bocca e si fermò.
Con le mani la prese per le spalle e cominciò a baciarla con passione:
– Ti voglio … ora! – le sussurrò semplicemente.
Ma la giovane si irrigidì: – No – disse – voglio anche Flora con me … –
– Va bene – accettò. Marco si allontanò e sicuro di quello che sarebbe accaduto chiamò: – Flora? Puoi venire? – la risposta fu immediata, dato che la donna non dormiva anzi stava attendendo fremente.
Flora arrivò furtiva ed eccitante come una grossa pantera nera nelle sue calze provocanti.
– Voglio chiavarla! – disse Marco, con una veemenza che la donna non gli conosceva.
– E tu … mio piccolo fiore … te la senti? – disse la donna mettendosi di fronte a Nicòle e fissandola negli occhi.
– Io … io credo di si … se tu mi stai vicino. – Nicòle era pronta ed eccitata, ma un po’ secca in vagina per la paura e la tensione che si era prodotta nella stanza.
Non era un atto spontaneo … non era l’evoluzione di un amore … quindi nessun coinvolgimento sentimentale e nessuna spontanea donazione di sé, ma solo una calda, potente eccitazione.
Trovò in sé la nota giusta per far vibrare il suo diapason all’unisono con l’arrapamento mentale degli altri due.
Avrebbero proceduto alla deflorazione di Nicòle meccanicamente, come un atto dovuto e necessario, eppure questa fredda determinazione a spaccare l’imene col cazzo di Marco era talmente inebriante da far girare la testa a tutti e tre.
– Andiamo in camera – propose Flora – staremo meglio. –
Accese la luce e fece partire una piccola videocamera posta sul comò di fronte ai piedi del letto: – Vale la pena di immortalare il momento, vi pare? –
Totalmente fiduciosi i giovani risposero affermativamente. Lo stesso Marco aveva fatto altre volte l’amore con Flora lasciandosi filmare. Ora sapeva che rivedere quelle scene aggiungeva ulteriore piacere ai rapporti successivi e l’emozione non inibì la sua erezione … anzi contribuiva ad accrescerla.
Flora fece si che Nicòle si stendesse sul letto, comoda … ginocchia alzate e gambe divaricate:
– Vieni dentro di me, Marco. Prendimi come una cagna … – disse Flora con voce roca. Così si chinò in avanti per arrivare col volto tra le cosce della ragazza, per farle la minetta.
Subito iniziò a baciare le labbra tese della giovane figa.
Nicòle sentì la penetrazione di Flora da parte di Marco e tutte le pompate che lui le infliggeva, perché le venivano trasmesse pari pari dalla bocca e dalla lingua di lei, direttamente in mezzo alle cosce.
La donna la leccò e la eccitò per farla bagnare a sua volta, poi all’improvviso fermò con la mano il ragazzo e se lo sfilò dal corpo.
– Ecco vieni, Marco, Nicòle è pronta per te – disse seria. Spostandosi di lato, si mise col busto a fianco della pancia piatta dell’altra.
Marco era infoiato dalla chiavata precedente, bruscamente interrotta e cercava un buco da riempire al più presto.
Si puntellò con le ginocchia sul letto e protese il membro verso la piccola fessura di Nicòle.
Flora, che aveva le mani libere, si diede subito da fare … con le dita della destra divaricò le grandi labbra della fanciulla, mentre con la sinistra agguantò il cazzo duro e lo indirizzo verso la giusta inclinazione.
Il giovane tenendosi con le ginocchia e con i palmi sul letto, lasciò che la donna manipolasse il suo cazzo come un trapano in cerca del suo foro. Lui invece grazie all’appoggio comodo, poteva gestire la discesa in quel piccolo buco, ancora vergine e mai profanato.
Flora gli impose piccole oscillazioni, che permettevano alla sua capocchia rossa e spropositata di aprire e chiudere la fighetta eccitata, arrivando fino all’imene ma senza sfondarlo.
Ma quando i mugolii di Nicòle divennero sconnessi e parossistici, quando le dita si impregnarono di umore bianco e lubrificante, quando il cazzo di Marco era al culmine del suo notevole spessore, allora divenne un’ossessa …
La grossa donna sgattaiolò agile alle spalle del maschio e si abbatté su di lui … le grosse zinne si appiattirono molli sulla sua schiena, la figa gonfia da matrona gli premette le natiche, quella pressione esercitata all’improvviso, prese Marco alla sprovvista, che cedette al peso notevole di lei.
Crollò su Nicòle con violenza inaudita, invadendole il corpo sottile con il suo di maschio maturo, mentre il cazzo scendeva tra le sue cosce come una trivella.
A poco valse la resistenza passiva dell’ imene dell’imene virginale.
Si spaccò in un istante, permettendo al glande di farsi inseguire da tutto il tronco di carne, fino a sbattere con i coglioni sulla fessura divaricata in modo innaturale.
Nicòle urlò per la sorpresa ed il bruciore … non poteva credere al gesto selvaggio di Flora.
Ora annaspava in cerca di aria, ma la pressione su di lei non tendeva a diminuire.
Marco fece del suo meglio per non schiacciarle i polmoni e per permetterle di riuscire almeno a respirare … ma di toglierle il cazzo completamente inzuppato in lei non se ne parlava neppure.
Flora al massimo della goduria mise la mano sotto lo scroto del giovane, analizzando con le dita la totalità definitiva della penetrazione.
Si alzò controvoglia da quel monte di membra avvinghiate.
Era squassata, anima e corpo, come se fosse stata lei ad essere profanata … sfondata senza pietà.
– Chiavatela Marco … è tutta tua, adesso … vienile dentro senza temere. – disse con una voce strana, eccitata ma rabbiosa. Stava soffrendo come non mai per la sua natura che non le permetteva di avere Nicòle completamente sua.
Si ritrasse ai piedi del letto. Si sedette per terra e senza enfasi seguì da vicino tutte le fasi di quella copula da lei stessa organizzata.
Vedere Marco e Nicòle, uniti da quel cordone di carne, stretti in una intimità a lei proibita la fece sentire sola e inutile.
Tre anni d’amore, di abnegazione, di servitù, distrutti dalla natura delle cose … poteva leccarla fino a farsi sanguinare la lingua … ma mai avrebbe potuto farla godere tanto intensamente come solo un pene poteva fare. Aveva gli occhi umidi e, improvvisa, in lei montò la rabbia per quello sconosciuto che adesso stava montando la sua pupilla.
Se la fotteva dimenandosi in lei. Non contento la fece inarcare di più, mettendole un cuscino sotto la schiena, per continuare a chiavare in modo cadenzato e preciso.
Ogni tanto si fermava, col cazzo completamente dentro … allora era la piccola Nicòle che si agitava, scalciando lentamente e ruotando il bacino, per accogliere e saggiare l’asta infissa in lei.
I due ragazzi erano soli nel piacere, lontani da lei … entrambi.
Ecco, ora dimentica del dolore provato da poco, Nicòle si spingeva a favore di lui, emettendo quei suoni che Flora tanto bene conosceva e adorava: la giovane, incapace di controllarsi ancora, se ne veniva a lungo come era suo solito.
L’estasi di lei si trasmise a Marco, che poco dopo, folle di piacere, cominciò a spingere il suo orgasmo, tra le piccole labbra della figa di lei.
Nicòle era leggera e minuta. Marco sborrava e spingeva, al punto da farla risalire lungo il letto, verso la spalliera.
Dopo un lunga serie di spasmi incontrollati, Marco si calmò.
Flora aspettava, benigna, spiando da dietro lo strizzare delle natiche di lui.
Dopo parecchi minuti … tutto finì.
Il membro ancora barzotto, rosso e bagnato venne sfilato dalla vagina.
Flora ritrovò tutta la sua libidine in quell’attimo e volle tutto il piacere per sé.
– Alzati! – ordinò a Nicòle.
La ragazza non capì bene cosa intendesse, ma Flora fu lesta e l’aiutò con la mano a mettersi al centro del letto, in ginocchio e con le gambe divaricate … ma non una sola goccia del suo piacere andò sprecata sulle lenzuola: Flora fu subito sotto di lei.
Con la bocca e con la lingua sollecitò la piccola vagina irritata. Pian piano dalla fessura dischiusa un liquido rosato colò tra le labbra marcate di Flora …

La Fata di Ferro beveva alla fonte della sua piccola Principessa: un amore liquido, fatto di sperma, sangue e umori caldi.
Con grande maestria aveva dosato gli ingredienti nella coppa sacra della sua ancella … ora raccoglieva il frutto delle sue alchimie.
Incapace di amare col cuore, preferiva accontentarsi di sostituirlo con la voluttà estrema, per berne l’erotico liquore.
La domenica successiva fecero festa: più volte danzarono i balli dell’amore e il satiro, invitato alla tregenda, sparse ancora il suo seme virile nelle loro vagine infoiate.

Tre mesi dopo … la donna si accorse suo malgrado che le premure e i calcoli astrali estrapolati per Alba, avevano agito a discapito della dovuta attenzione per se stessa …
La Fata di Ferro era incinta … suo malgrado.
Dalla sua casa nel bosco mugghiò e sbuffò disperata e infuriata … cacciò la principessa dalla sua vita per sempre e nessuno ne sentì più parlare.

Epilogo

Senza l’amore, si sa, tutte le cose stridono e alla fine producono attrito.
L’ attrito ha la pessima abitudine di attirare l’attenzione perché produce sforzo, calore e rumore.
L’unico sistema per attutire il rumore è usare il brodo di lacrime, ma produrlo non è sempre facile:
spesso sono in tanti a cercare di attutire gli effetti dell’attrito, versando tante lacrime, talvolta all’insaputa l’uno, dell’altra.

Sono passati tanti anni, il tempo ha cancellato e sbiadito tanti ricordi … anche il vecchio cartello sul sentiero che porta a una casa abbandonata; nonostante gli anni, però, ancora si può leggere l’antica scritta:
“ Qui abita la Fata di Ferro.
Lei ama tutti e nessuno.
Lei sfida la vita, ma la teme.
Quando gioisce … fa male.
Non è una vera Fata,
ma neppure sa essere una vera Strega. ”

FINE

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