Io e M… 02
Quando non ero con Angelo ero all’università. Dovevo portare a termine il mio percorso formativo, e dovevo farlo al più presto. Ero già fuori corso di un anno, e non volevo attardarmi ancora di più. Tra i miei esami universitari finali ne avrei dovuto scegliere uno facoltativo; ebbene, mi guardai intorno, mi feci consigliare dalle mie amiche, e tutte mi sconsigliarono semiotica dell’erotismo. Ma io non ascoltai quei consigli e mi ci iscrissi, più per curiosità che per altro. La prima volta che entrai in aula, ricordo che avevo una minigonna, così corta che di tanto in tanto ero costretta a tirarmela giù, per non rischiare che mi si vedesse il perizoma. Mi guardai intorno e c’erano soltanto maschi che mi guardavano come degli allupati. Mi feci avanti tra i banchi per raggiungere la prima fila; si era fatto un gran silenzio, poi qualcuno bisbigliò qualcosa: “che topa!”.
Mi misi a sedere e accavallai le gambe. Presi il mio quaderno degli appunti e feci finta di leggere qualcosa. Ero davvero in imbarazzo; mi fissavano tutti. Ad un certo punto sentii il rumore che fa la zip dei pantaloni; quello che stava di fianco a me aveva tirato fuori il cazzo e aveva un erezione da paura.
– Che ne dici se ci divertiamo un po’?
– No grazie – gli risposi cercando di non guardargli il membro.
Per fortuna arrivò il professore, e il mio vicino di banco si rimise l’attrezzo nei pantaloni. Il professore si chiamava Oscar. Era un uomo sulla cinquantina, distinto, che quando mi vide mi fece un sorriso e poi prese posto dietro la cattedra.
– Vedo che oggi abbiamo una nuova iscritta – disse. – Davvero lodevole da parte di una ragazza. Beh, se le cose di cui parleremo le potranno sembrare un po’ scabrose, la prego di tapparsi le orecchie.
Il professore cominciò a parlare di esempi di erotismo nella storia della letteratura; confesso che ci capivo poco e niente, anche perché mi ero persa le prime due lezioni. Però mi piaceva quello che diceva. E poi non so perché, ma c’era qualcosa nel suo modo di guardarmi (e mi guardava in continuazione) che mi ipnotizzò. Vedevo i suoi occhi concentrarsi soprattutto sulle mie cosce, e più mi guardava e più mi veniva voglia di fargli un pompino e di farmi schizzare in faccia. Cercai di capire cos’era quella strana attrazione; non me lo spiegavo, ancora una volta subii il fascino di un uomo maturo, e mi vennero un sacco di idee porche. E non so perché lo feci, ma mentre per l’ennesima volta mi guardò le cosce, io le allargai, affinchè potesse vedere la lingerie che portavo sotto la gonna, cioè un perizoma rosso. Ma fu per un breve attimo, poi ritornai ad accavallare le gambe, e lui mi sorrise.
Non ero conscia di quello che mi stava succedendo, eppure ero nelle sue mani. Sognai ad occhi aperti di essere la sua schiava del sesso, di servirlo e riverirlo, e di essere usata come un oggetto del piacere ogni volta che lui ne avesse voglia. C’era qualcosa nei suoi occhi che mi faceva pensare quelle cose, e all’improvviso feci una cosa che mi lasciò piuttosto perplessa. Sillabai qualcosa verso di lui, muovendo le labbra senza emettere alcun suono, affinchè fosse solo lui a capirmi. S-c-o-p-a-m-i. Questo dissero le mie labbra, e lui mi sorrise ancora.
Alla fine della lezione ripresi le mie cose con l’intenzione di sgattaiolare fuori dall’aula per non tornarci mai più, ma il professore fu più veloce e mi chiese di andare verso di lui.
– Venga signorina, non abbia paura.
A piccoli passi mi avviai verso di lui, con la fronte bassa perché ero molto imbarazzata per come mi ero comportata prima. Gli altri studenti erano andati via tutti, e io avevo paura di guardare l’insegnante negli occhi. Se i suoi occhi avevano fatto quell’effetto su di me, cosa avrebbero fatto adesso che eravamo soli, io e lui?
– Ho notato, con molto piacere, che la lezione è stata di suo gradimento. Me ne compiaccio. Lo so che questa è una materia un po’ difficile da accettare per voi ragazze, e infatti lo dimostrano i numeri. Lei è la prima ragazza a frequentare questo corso da almeno cinque anni a questa parte. Cosa l’ha spinta a iscriversi?
– Ma io… veramente… – non avevo la più pallida idea di cosa dire. – In verità non lo so.
– Si calmi, signorina – continuò. – Lei come si chiama?
– Martina, professore.
– Martina, sarei molto felice se lei rispondesse alla mia domanda stasera, a cena. A casa mia. Cosa ne dice?
Stavo per dirgli che mi sembrava una follia, che avevamo circa venticinque anni di differenza, e che sinceramente gli insegnanti che fanno i maiali con le proprie alunne non mi andavano a genio. Però poi i suoi occhi fecero di nuovo lo stesso gioco di prima, mi accecarono, e allora mi vidi tutta la scena davanti agli occhi, noi due su un comodo divano, e io che gli stringevo il membro eretto in mano e che lo facevo godere. Fui fulminata da quell’immagine.
– Sì – sussurrai, – va bene.
– Allora siamo d’accordo – poi mi scrisse su di un pezzo di carta il suo indirizzo. – Ecco, l’aspetterò con ansia. Ma prima passi dal mio ufficio, dove la mia segretaria le darà un vestitino che mi piacerebbe che lei indossasse questa sera.
– Va bene professore.